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Plant Echoes, di Uriel Orlow

L'interesse di Orlow su come le categorie colonialiste sopprimano la cultura e il senso d’appartenenza

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Quando
da sabato 31 marzo a lunedì 30 aprile 2018
  • Titolo: Plant Echoes di Uriel Orlow
  • Luogo: LaVeronica Arte Contemporanea
  • Indirizzo: Via Clemente Grimaldi 93 - Modica - Rg
  • Quando: dal 31 Marzo al 30 Aprile 2018
  • Orari: su appuntamento
     

Laveronica Arte Contemporanea è lieta di presentare la mostra personale di Uriel Orlow intitolata Plant Echoes. Uno dei temi più significativi affrontati da Uriel Orlow nel suo lavoro è la sfida ai metodi di cancellazione. 
Sia che analizzi l’eredità lasciata dal colonialismo e dal post-colonialismo in Africa e nel Caucaso o nel Medio Oriente, il silenzioso e meticoloso lavoro multimediale di Orlow ripopola storie ormai dimenticate e restituisce nuovi modi di concepire gli interstizi socio-politici trascurati o eccessivamente mediati.

In questa mostra, l’interesse di Orlow su come le categorie colonialiste sopprimano la cultura e il senso d’appartenenza indigeni lo ha portato in Sudafrica. Qui ha scoperto che non solo gli inglesi e gli olandesi hanno rinominato le piante locali e hanno tentato di sradicare l’uso tradizionale di erbe medicinali additandolo come pericoloso, ma che hanno anche introdotto 9000 differenti specie di piante esotiche, molte delle quali hanno infestato e soppiantato la flora locale. Il nuovo corpus di opere di Orlow sfrutta le piante come potente lente d’ingrandimento attraverso la quale esplorare le ramificazioni socio-politiche, economiche e spirituali della colonizzazione. Orlow si focalizza sull’importante ruolo giocato dalle erbe medicinali (o muthi) nella cultura sudafricana, visto che il 60% della popolazione locale si rivolge a guaritori che possono scegliere tra più di 3000 specie vegetali. Con le aziende farmaceutiche europee che sfruttano il mercato delle “cure naturali”, si è aperto un nuovo fronte nella gara a chi possiede il diritto di sfruttare ciò che cresce ed è sempre cresciuto dalla terra. In What Plants Were Called Before They Had A Name (opera in corso dal 2015), voci maschili, femminili e collettive recitano i nomi delle piante autoctone in dieci diverse lingue africane, dall’isiZulu e dal SePedi all’isiXhosa e al Khoi, nomi privi di alcun riconoscimento nella tassonomia linneana. «Il linguaggio è legato alla politica» dice Orlow «e la classificazione delle piante può essere considerata una forma di violenza epistemica». In questo senso, il pezzo audio in surround funge da dizionario orale, commovente e riparatore. 

Echoes (2017) è una serie di foto di macchie scure lasciate dalla linfa seccata sulla carta protettiva proveniente dagli erbari sudafricani che risalgono all’epoca dell’esplorazione coloniale. Le sagome lasciate dalla linfa non ci dicono nulla dei nomi tradizionali o degli usi che di quelle piante si facevano, piuttosto evidenziano l’imposizione di un sistema di classificazione mono-dimensionale, che era ineguagliabile e venerato come unico obiettivo. È difficile posare la vista su questi fragili residui in netto contrasto con la premurosa delicatezza dei botanici che lavoravano nel mezzo della crudele e selvaggia ferocia dell’apartheid e, prima ancora, del colonialismo. 

The Fairest Heritage (2016-17) intercetta in modo caustico una versione della storia. Durante le sue ricerche, Orlow ha scovato una pellicola girata nel 1963 per celebrare il cinquantesimo anniversario del Kistenbosch, il giardino botanico nazionale sudafricano. Soltanto tre anni dopo il massacro di Sharpeville e un anno prima dell’incarcerazione a vita a Robben Island di Mandela, cinquanta botanici provenienti da vari paesi fecero un tour per il Sudafrica, in una sorta di festa in giardino per soli bianchi. Orlow ha invitato quindi un’attrice africana, Lindiwe Matshikiza, a interagire con le immagini, imponendo un’elegante e silenziosa aggiunta al passato, quando il commercio di fiori esotici eludeva il boicottaggio delle merci sudafricane (lo ha eluso fino alla fine degli anni ’80). In questa mostra, Orlow continua a portare avanti e sviluppa la sua sensibile e accurata rielaborazione di storie, rappresentando vecchi documenti riproposti nel contesto di nuove messe in scena, dando voce a quelli che sono stati messi a tacere per ripensare come l’impulso morale possa prendere forza dall’arte. 

Uriel Orlow vive e lavora tra Londra, Lisbona and Zurigo. Ha studiata al Central Saint Martins College of Art & Design Londra, alla Slade School of Art, University College London e University of Geneva, completando un PhD in Arti Figurative nel 2002. La pratica di Orlow si fonda sulle ricerche, sui processi ed è multidisciplinare include film, fotografia, disegno e suono and sound. Orlow è conosciuto per i suoi film, saggi, performance e installazioni modulari e multi mediali che si concentrano su luoghi specifici e micro storie e porta differenti regimi di immagini e modalità narrative in comunicazione. Il suo lavoro è legato alle manifestazioni fisiche della memoria, punti ciechi di rappresentazione e forme di infestazione. 
Il lavoro di Orlow è stato presentato durante importanti mostre di ricerca come la 54° Biennale di Venezia (2011), 8° Mercosul Biennial, Brasile (2011), Aichi Triennale (2013); Manifesta 9 a Genk (2012); Bergen Assembly (2013), Qalandia International (2014) EVA International (2014, 2016), 13° Sharjah Biennial 13 (2017), 7° Moscow Biennial (2017). Recenti mostre personali istituzionali includono il PAV – Parco Arte Vivente (2017) Parc Saint Léger (2017) The Showroom, Londra (2016); Castello di Rivoli, Torino (2015). 
Il lavoro di Orlow è stato mostrato in musei, gallerie internazionali come a Londra alla Tate Modern, Tate Britain, Whitechapel Gallery, ICA e Gasworks; a Paris al Palais de Tokyo, Fondation Ricard, Maison Populaire, Bétonsalon; a Zurich alla Kunsthaus, Les Complices, Helmhaus e Shedhalle; a Ginevra al Centre d’Art Contemporain e Centre de la Photographie; a Kindl, Berlin; Württembergischer Kunstverein Stuttgart; Alexandria Contemporary Art Forum (ACAF) e Contemporary Image Collective (CIC) Cairo; Tabakalera, San Sebastian; Jewish Museum New York tra le varie location.
 

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