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"Daniele Schmiedt, artista inquieto, alla ricerca di sé". L'analisi di Anna Maria Ruta

16 novembre 2012


"Paesaggio urbano"

Se Schmiedt avesse dato quel taglio netto e coraggioso, pur se doloroso, alla sua vita, come Guttuso o come i messinesi Joppolo e Migneco, per mescolarsi a Roma o a Milano con le belle intelligenze e i geni artistici, che in tutti gli anni Trenta vi si incontravano, negli studi, nelle gallerie, nei caffè e nelle chiassose trattorie, dove dibattevano e si influenzavano a vicenda, avrebbe certo direttamente respirato quel clima di rinnovamento artistico e di lotta per la libertà, che stimolò molti di loro. E dire che Messina è per tradizione storica punta avanzata della Sicilia verso il Nord e il nuovo.
Per Schmiedt così non fu e di conseguenza il suo mondo pittorico, pur se sempre attento alle novità e alla produzione dei grandi maestri, anche internazionali (e qui sta la sua modernità), rimase imbrigliato nella rete di un più defilato provincialismo, che non gli consentì di fare il salto necessario per inserirsi come loro ed emergere con e fra loro negli ambienti milanesi della galleria Il Milione o della Bottega di Corrente o in quelli romani de La Cometa.


"Il pittore e la modella"

Peppino Mazzullo, che lo conosce bene, nel 1953, in occasione della Mostra dell'Arte nella vita del Mezzogiorno d'Italia gli scrive: «Ai miei amici di Messina vorrei permettermi di dare un consiglio: lascino i loro complessi di inferiorità di fronte "all'uomo del Nord"». Eppure la complessità e le diversità delle sue modalità figurative, sempre ispirate da una visione realista, le varietà tonali e le particolarità dei suoi cromatismi attrassero i critici dell'epoca, che spesso, tuttavia, non capirono fino in fondo la profondità della sua riflessione e lo definirono, e non sempre con simpatia, «cerebrale», «concettuoso», «quasi filosofo», pur riconoscendone sempre la bravura e la tecnica da «pittore consumato». Perché Schmiedt era continuamente percorso da un'inquietudine di ricerca, che lo spingeva a leggere i codici pittorici più diversi, per farli propri e rielaborarli, senza abdicare mai al suo segno personale. Lojacono, Cézanne e gli impressionisti prima, Casorati, Carrà, De Chirico, Sironi dopo, e ancora Bonnard, Matisse furono maestri sempre presenti nella sua enciclopedia artistica, osservati, passati al setaccio, personalizzati. Non era però mondano, né à la page, né aveva un destino nomade, pur se viaggi personali e per mostre lo portarono in giro per tutta l'Italia, facendogli stringere rapporti con molti colleghi, come è possibile cogliere dal suo ricco epistolario. Il suo ambito vitale ed artistico rimase limitato alla città dello Stretto, con quelle buone conoscenze dirette e di passaggio, che essa consentiva e che pure molto lo sollecitarono. Ma questo non bastò ad imporlo.


"Autoritratto con Mario"

Le strade di penetrazione della critica e del mercato sono difficili e diverse. E l'attesa, motivo che ritorna insistente nella sua pittura, rimase anche attesa di quella fama nazionale, che non venne, scandalizzando critici raffinati come Andrea Agueci, che nel 1935 gli scrive «… è paradossale che un artista come te non compaia nelle grandi esposizioni, in prima linea tra i migliori pittori d'Italia» o come Carlo Battaglia, che ancora nel 1954 lo definisce «la figura d'artista più rappresentativa della pittura messinese del primo cinquantennio del Novecento».


"Maternità"

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16 novembre 2012
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