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"Sette Motivi Per Cui Dovrei Morire"

Hashem Shabani, il pacifista iraniano impiccato perché scriveva poesie "pericolose" per l'Islam

15 febbraio 2014

Hashem, il pacifista iraniano impiccato perché la sua poesia corrompe l'Islam
di Francesca Paci (La Stampa)

Aveva confessato Hashem Shabani. Prima di essere impiccato insieme ad altri 14 attivisti dei diritti umani il 34enne poeta e pacifista iraniano aveva ammesso ai suoi torturatori in tv di attentare alla sicurezza nazionale utilizzando i suoi versi per "diffondere la corruzione sulla terra", una delle folli accuse con cui il Ministro dell'Interno e il Giudice del tribunale rivoluzionario Mohamed-Bagher Moussavi l'avevano condannato alla pena capitale (tra le altre c'era quella di essere stato una spia di Mubarak e di Gheddafi e di aver organizzato attentati terroristici).
Nella Teheran in cui l'occidente si sforza di vedere solamente le prospettive riformiste promesse dal neo presidente Rohani si continuano a uccidere le voci dissenzienti. A chi viene risparmiata la morte tocca il silenzio, come nel caso degli ex leader dell'opposizione riformista Mir Hossein Mussavi e Mehdi Karrubi che sono da tre anni agli arresti domiciliari (e ci resteranno chissà quanto a meno di sottoscrivere un «pentimento») per aver tentato di importare la «primavera araba» in Iran nel 2011 dopo aver guidato l'onda verde nel 2009.

Mentre tra alti e bassi si avvicina il nuovo round di colloqui tra Teheran e il gruppo 5+1, durante il quale, a Vienna, si lavorerà per trovare un accordo «omnicomprensivo» sul programma nucleare della Repubblica islamica, il requiem per Hashem Shabani diventa quello per l'intera società iraniana schiacciata (per ora) sotto il peso della Storia.
Le ultime parole dei suoi assassini sono echeggiate come un monito tanto anacronistico quanto feroce. "Traditore e spia" gli hanno detto pochi giorni fa, un attimo prima di preparare il nodo scorsoio. Never again. Shabani, insegnante di lingua e letteratura araba, scriveva in arabo e traduceva la poesia farsi in arabo, attività più che sovversiva nell'Iran ossessionato, tra le altre cose, dalla minaccia del separatismo di Ahwaz (la regione di provenienza di Shabani), del Baluchistan, del Kurdistan. A nulla gli è valsa la devozione per la moglie, il figlio e soprattutto per il padre infermo per una ferita riportata durante la guerra contro l'Iraq (1980-88).
Quando è stato arrestato a Khalafabad, nel febbraio 2011, il paese era ancora sotto il giogo dell'irriducibile Ahmadinejiad, ma dov'era il successore riformista Rohani nei giorni scorsi? La risposta è nelle decine e decine di attivisti, artisti, insegnanti e scrittori ammazzati durante la presidenza del moderato Ayatollah Mohamed Khatami.

Dall'elezione di Rohani a oggi, in questi mesi di riavvicinamento tra l'Iran e l'occidente, ci sono state 400 esecuzioni di dissidenti.
Resta un paese fratto, la società schizofrenica, l'economia al collasso, l'isolamento internazionale e la proxi war con la Siria. Restano i versi di Shabani, gli ultimi soprattutto, scritti in attesa del boia e intitolati "Sette Motivi Per Cui Dovrei Morire": «Per sette giorni mi hanno urlato: sta facendo la guerra ad Allah, sei un arabo, sei di Ahwaz. Prendi in giro la sacra rivoluzione. Sei un uomo, non è abbastanza per morire?».

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15 febbraio 2014
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