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21 anni dopo...

Nuova indagine sul fallito attentato al giudice Giovanni Falcone sulla scogliera dell'Addaura il 20 giugno del 1989.

15 maggio 2010

Dopo 21 anni un nuovo troncone di indagine cerca di far luce sui misteri legati al fallito attentato dell'Addaura del 20 giugno 1989 al giudice Giovanni Falcone: cinque le persone iscritte nel registro degli indagati, tutti appartenenti al clan mafioso Madonia.
L' attentato fallì solo per un caso: una sacca da sub con 58 candelotti di dinamite, collocata sulla scogliera antistante la villa dove si trovava Falcone, fu notata da un agente di scorta che diede l'allarme.
L'indagine, archiviata nel 1994 a carico di ignoti, fu riaperta nel 1996 dopo le dichiarazioni di un collaboratore che assieme ad alcuni pentiti come Angelo Siino, rivelò che Cosa nostra voleva uccidere oltre a Falcone anche i magistrati elvetici Carla Del Ponte e Claudio Lheman, ospiti a Palermo per un'indagine riservatissima sul riciclaggio in Svizzera di denaro sporco della mafia siciliana. Il 5 giugno 2004 la Corte di Cassazione confermò, in particolare, le condanne a 26 anni di carcere ai boss Salvatore Riina, Salvatore Biondino e Antonino Madonia per il fallito attentato. Il 20 agosto 2008 la procura di Caltanissetta aprì una nuova inchiesta in base ad un racconto di un pentito, secondo il quale fu ucciso un testimone, Francesco Paolo Gaeta, spacciatore, la cui colpa era stata quella di aver assistito alle fasi esecutive del commando che piazzò la borsa con l'esplosivo tra gli scogli. All'attentato dell'Addaura, secondo i magistrati nisseni, sarebbero collegati altri episodi misteriosi come l'uccisione dell' agente di polizia Antonino Agostino, assassinato insieme con la moglie il 5 agosto del 1989, e la scomparsa di Emanuele Piazza, collaboratore del Sisde, vittima della "lupara bianca" il 15 marzo del 1990.

In questi giorni, dopo 21 anni dal quel 20 giugno, giorno nel quale il giudice Giovanni Falcone "cominciò a morire", alla Procura di Caltanissetta ripartono le indagini con cinque nuovi indagati: lo scenario più inquietante è la partecipazione di elementi deviati dei servizi segreti alla cospirazione contro il giudice, come rivelato dall'inchiesta di Attilio Bolzoni del quotidiano la Repubblica.
Coinvolti in questa nuova indagine, sulla quale vige il massimo riserbo, personaggi appartenenti al clan mafioso Madonia: oltre al boss Salvino Madonia sono indagati Gaetano Scotto, Raffaele Galatolo, suo nipote Angelo Galatolo, di 50 anni, e il collaboratore di giustizia Angelo Fontana. Un sesto indagato, Pino Galatolo, fratello di Raffaele, è deceduto. Sarebbe stato affidato a lui il compito di procurare il telecomando utilizzato per il fallito attentato.
La Procura indaga anche sulla presenza di una "talpa" all'interno della Dia di Caltanissetta: un uomo dei servizi segreti deviati che, introdottosi nella sede e collegandosi a un computer, avrebbe controllato le vari fasi delle indagini sull'attentato. La talpa avrebbe anche informato chi doveva piazzare l'esplosivo che Falcone si sarebbe recato all'Addaura con i magistrati elvetici Carla Del Ponte e Claudio Lheman.

"Siamo in fase di indagine". Questo l'unico commento rilasciato da Piero Grasso a Enna, dove il procuratore nazionale antimafia ha partecipato alla cerimonia d'inaugurazione dell'auditorium Falcone-Borsellino della locale Procura della Repubblica.
I Pm di Caltanissetta hanno ordinato il prelievo delle tracce di Dna dalla muta da sub ritrovata all'interno del borsone contenente i 20 chili di esplosivo che il 19 giugno 1989 fu piazzato sulla scogliera nella quale si affacciava la villa di Falcone, sul lungomare dell'Addaura. Per compiere l'accertamento, il procuratore Sergio Lari e gli altri due Pm titolari dell'inchiesta, l'aggiunto Nico Gozzo e il sostituto Nicolò Marino, hanno fatto ricorso a un incidente probatorio. Il Dna prelevato dalle attrezzature abbandonate sulla scogliera sarà confrontato con quello di Emanuele Piazza e Antonino Agostino, due collaboratori dei servizi segreti uccisi a ridosso del fallito attentato.
Sulla base di quanto rivelato dall'inchiesta di Attilio Bolzoni, si ipotizza che Piazza e Agostino fossero stati chiamati per disinnescare l'ordigno, piazzato con il coinvolgimento di pezzi deviati dei servizi segreti. Attorno all'attentato si sarebbero dunque confrontate due "correnti" dell'intelligence, una in difesa di Falcone, l'altra coinvolta nella cospirazione contro il magistrato, ucciso poi nella strage di Capaci del 23 maggio 1992.
"Abbiamo chiesto al gip un incidente probatorio - ha confermato Sergio Lari - per riuscire a comparare le tracce biologiche rinvenute con alcuni soggetti chiamati in causa da alcuni collaboratori di giustizia, a vario titolo". Alla domanda se con la nuova inchiesta potrebbero essere alleggerite le posizioni dei condannati del processo per il fallito attentato all'Addaura, la risposta di Lari è stata secca: "Affatto, le nuove indagini non mettono assolutamente in discussione le acquisizioni processuali avute fino ad oggi". [Informazioni tratte da Adnkronos/Ing, Ansa, La Siciliaweb.it, Repubblica.it]

Da una parte 007 "buoni", dall'altra i "cattivi"
di Franco Nicastro (Presidente dell'Ordine dei giornalisti di Sicilia)

Sembra il copione di un film western: da una parte i "buoni", dall'altra i "cattivi". Ma lo scenario non è la brulla prateria americana. E' la selvaggia scogliera dell'Addaura a Palermo davanti alla quale si staglia la villa a mare di Giovanni Falcone. Dopo 21 anni - era il 20 giugno 1989 - il colpo di scena. Con 5 nuovi indagati sono ripartite oggi le indagini sul fallito attentato.
"Buoni" e "cattivi" sono uomini dei servizi segreti e si fronteggiano per due cause diverse: i primi proteggono Falcone, gli altri vorrebbero eliminarlo. Il gruppo degli assalitori è costituito da uomini del clan Madonia che avevano piazzato una borsa piena di candelotti di tritolo sulla scala che conduce alla villa del magistrato. I "buoni" avrebbero intercettato l'operazione e disinnescato il micidiale ordigno. Falcone è salvo: la sua eliminazione, sempre con una superbomba sull'autostrada, è rinviata di tre anni.
Sono questi gli scenari che sta delineando l'inchiesta della Procura di Caltanissetta improvvisamente riaperta lungo un filone che incrocia l'ingombrante mistero di altri due eccidi: l'eliminazione del poliziotto Antonino Agostino, ucciso davanti casa con la moglie Ida Castellucci, e la scomparsa di Emanuele Piazza, collaboratore dei servizi segreti impegnato nella caccia ai latitanti di Cosa nostra. Dopo oltre 20 anni il procuratore Sergio Lari e i suoi collaboratori, l'aggiunto Nico Gozzo e il sostituto Nicolò Marino, hanno ordinato con un incidente probatorio un esame a cui nessuno aveva mai pensato: il prelievo delle tracce di Dna lasciate dagli attentatori nella muta, nelle pinne e negli occhiali abbandonati dai sommozzatori lungo la scogliera. E per compiere questo accertamento hanno iscritto nel registro degli indagati cinque persone: il boss Salvino Madonia, il capomandamento della borgata di Vergine Maria Raffaele Galatolo e il nipote Angelo, il boss Gaetano Scotto e il collaboratore Angelo Fontana, che si sarebbe autoaccusato. Si indaga anche sul ruolo di un sesto personaggio, Pino Galatolo, che però è morto. Proprio lui avrebbe avuto il compito di procurare il telecomando da utilizzare per l'attentato.
Madonia è il capo della cosca che controllava la parte occidentale della città ed è coinvolto nei grandi delitti di Palermo. Scotto è fratello di Pietro, il telefonista della strage Borsellino condannato per questo all'ergastolo. Le tracce di Dna che saranno recuperate dalle attrezzature dei sub saranno confrontate con il Dna dei cinque indagati, di Pino Galatolo e dei due collaboratori dei servizi Agostino, ucciso il 5 agosto 1989, e Piazza, scomparso il 15 marzo 1990. Piazza sarebbe stato tradito da una "talpa" e sarebbe stato strangolato. Nel caso di Agostino si indaga sul ruolo di un poliziotto, Guido Paolilli, che la sera del delitto avrebbe partecipato a una perquisizione in casa della vittima. Ma il suo nome non figura nel rapporto degli investigatori. In una intercettazione ambientale Paolilli avrebbe detto che parte delle carte prelevate in casa di Agostino sarebbe stata distrutta. I depistaggi hanno in effetti frenato l'inchiesta sul fallito attentato dell'Addaura e solo a distanza di tanto tempo sono cominciati ad affiorare spezzoni di una verità a lungo occultata. Soprattutto quella di un collegamento tra uomini dei servizi di sicurezza e ambienti di Cosa nostra. [ANSA]

- Fra topi, muffa ed escrementi le carti di Capaci e via D'Amelio di Attilio Bolzoni (Repubblica.it)

 

 

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15 maggio 2010
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