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A Muntagna

L'Etna, il vulcano più alto e attivo di tutta Europa, continua a eruttare, borbottare, sbuffare, tremare...

04 dicembre 2006










Rumoreggia, borbotta, tuona, vomita, sbuffa, spennacchia, s'arrabbia, trema... ''A Muntagna'', l'Etna vive come non mai, la sua anima pulsante e rovente esce fuori dando spettacolo e... qualche guaio.
La sua eruzione continua, con fasi alterne ma con energia sostenuta. Dal cratere di sud-est sono visibili due bocche attive: una caratterizzata da una debole attività esplosiva stromboliana, con lancio di brandelli di lava che raggiungono un'altezza di qualche decina di metri e ricadono nelle immediate vicinanze della stessa bocca; l'altra ubicata più a monte, che produce emissioni discontinue di materiale fine che si disperde.
E alte si innalzano le colonne di fumo: una grigia scura di cenere lavica che fuoriesce del cratere di sud-est; l'altra bianca, frutto della degassazione presente nella Bocca Nuova e nella Voragine.
I due pennacchi si espandono nel cielo parallelamente e, sospinti dal forte vento in alta quota, si dirigono verso il versante est del vulcano.
La cenere lavica, frutto dell'attività stromboliana, ancora ieri ha obbligato, per la decima giornata consecutiva, l'aeroporto Fontanarossa di Catania a chiudere al tramonto. E ieri sera, per la prima volta, è stato chiuso, sempre  per l'emergenza cenere lavica dell'Etna, anche l'aeroporto di Reggio Calabria. Entrambi gli scali hanno riaperto stamane alle 7. Dall'aeroporto reggino dello Stretto sono stati cancellati alcuni voli in partenza, come quello per Roma e per Milano dell'Alitalia, rispettivamente delle 6:35 e delle 9:35, perché ieri sera le aeromobili non sono potute atterrare.

E queste esternazioni della Natura, che con l'attività dell'Etna fa ricordare agli uomini quant'è grande e vitale la sua potenza, hanno un loro, esoso costo... I 300 e passa voli che l'aeroporto catanese ha dovuto cancellare, infatti, hanno procurato danni per 400 mila euro circa. Ed è questo, solo un primo bilancio dei danni subiti dall'Aeroporto Fontanarossa a causa dell'emergenza cenere, in base alle stime degli operatori aeroportuali.
Ma bloccare il traffico aereo sembra inevitabile. Tale decisione, rende noto la Società aeroporto Catania, ''scaturisce dall'adozione delle procedure atte a garantire la sicurezza della navigazione aerea stante l'attività vulcanica in corso''.
Per il presidente dell'Enac, Vito Riggio, è la procedura che si dovrà continuare ad usare finché non sarà definita con la Protezione civile e l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia una mappatura attendibile dello spostamento della cenere, analizzando le quantità che vengono fuori dall'Etna e la componente meteorologica. Per il sottosegretario ai Trasporti, Raffaele Gentile, del resto, non si può certo mettere un ''tappo all'Etna''. Per il sottosegretario bisogna, intanto, conviverci col fenomeno della pioggia di cenere. Cosciente, però, dei ''danni economici rilevantissimi, provocati da questo fenomeno - ha spiegato ancora Gentile - bisogna riuscire a renderlo compatibile con i voli, attraverso la dotazione di infrastrutture radar e altri accorgimenti che permettono di atterrare, e una certa elasticità di orari''. Insomma, bisogna adattarsi al fenomeno meglio possibile.

Comunque, qualsiasi cosa decidano i piccoli uomini, dall'alto della sua maestosa e potenza, Lei, ''a Muntagna'', prosegue facendo quello che ha sempre fatto da millenni: vivere grandiosamente.
Certo oggi, in quanto vulcano più osservato e studiato in assoluto, mette sicuramente meno paura rispetto al passato, anche perché negli ultimi anni l'Etna, pur nella sua continua attività, non ha dato segnali di massima allerta.
Un tempo sì, che la sua forza fu molto, ma molto più dirompente e catastrofica, almeno così ha recentemente documentato una ricerca dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia.
Ottomila anni fa, una colossale frana di 35 chilometri cubici di materiale lavico (circa un decimo del cono sommitale dell'Etna), si staccò dal fianco orientale del vulcano e si inabissò nel Mare Ionio, causando uno tsunami a confronto del quale quello del 2004 nel Sudest asiatico impallidisce. Probabilmente il più grande tsunami dalla comparsa dell'uomo sulla Terra.
Durante i dieci minuti che la frana impiegò a fermarsi sui fondali dello Ionio, si sollevò in mare una muraglia di acqua a forma di anfiteatro alta fino a 50 metri. Poi l'ondata, viaggiando a velocità fra i 200 e i 700 km all'ora (più lenta nei fondali bassi e più veloce nel mare profondo), si propagò a Est, investendo, in rapida successione, Sicilia Orientale, Calabria, Puglia, Albania, Grecia, Creta, Turchia, Cipro, Siria e Israele; e a Sud, colpendo l'Africa Settentrionale, dalla Tunisia fino all'Egitto.

Ma come hanno fatto i ricercatori dell'Ingv a raccogliere le prove di questa antica catastrofe, che, ovviamente, spazzò gli insediamenti preistorici costieri del Mediterraneo Orientale e Meridionale?
Gli indizi, che sono diventati poi tasselli della vicenda, sono stati raccolti grazie a una serie di prospezioni sottomarine e a un'analisi al computer della forma dei depositi abissali. Lo studio, appena pubblicato sull'autorevole rivista scientifica internazionale Geophysical research letters col suggestivo titolo di ''Lost tsunami'' (lo tsunami dimenticato), è stato finanziato dal Dipartimento di Protezione Civile e rappresenta anche un prezioso contributo per valutare il rischio di possibili maremoti nel Mediterraneo.
''Non sappiamo quale fu la causa di quell’immane collasso: forse un'eruzione più abbondante del solito, forse un terremoto - spiega il professor Enzo Boschi, presidente dell'Ingv e autore dello studio assieme ai geofisici Maria Teresa Pareschi e Massimiliano Favalli -. Fatto sta che un'enorme quantità di depositi di lava che si erano accumulati per millenni sul ripido versante dell'Etna affacciato sul Mare Jonio, precipitò giù e finì in parte sulla costa ai piedi del vulcano, e per la maggior parte sul fondo del mare, fino a circa 20 km dalla costa stessa. Le prove del megatsunami e dell'epoca in cui esso avvenne le abbiamo raccolte lì e nei fondali del Mediterraneo, fra gli strati dei sedimenti sottomarini. Sull'Etna, quella che oggi chiamiamo la Valle del Bove, una grande concavità sul fianco orientale del vulcano che raccoglie gli attuali flussi di lava diretti verso Est, è la cicatrice residua di quel lontano evento, in gran parte colmata dalle successive eruzioni''.

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04 dicembre 2006
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