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Ad un convegno a Palermo, Umberto Eco dice: ''La tv rovina l'italiano''

''Gli italiani e la lingua'', un convegno di linguisti a Palermo

14 giugno 2003
E' difficile riconoscere nell'italiano di oggi la lingua parlata dalle classi intellettuali. Da 40 anni a questa parte la lingua ha subito un'evoluzione profonda sotto l'influenza delle dinamiche sociali, degli scambi culturali, degli effetti della televisione che ha imposto nuovi stili comunicativi.

Non sono però i processi evolutivi a preoccupare gli studiosi, che anzi vi colgono aspetti positivi come la semplificazione sintattica. E neppure la dilagante intrusione dell'inglese informatico. I nemici più «pericolosi» sono considerati i media, che non a caso sono finiti sotto accusa nel convegno «Gli italiani e la lingua» organizzato dall'Università di Palermo a 40 anni dalla pubblicazione della «Storia linguistica dell'Italia unita» di Tullio De Mauro.

Tocca a Umberto Eco formulare, con un intervento che offre molti spunti divertenti, il capo d'accusa. La colpa dei giornali e della televisione sarebbe quella di promuovere uno stile omologato e di diffondere spezzoni di una lingua infarcita di luoghi comuni e frasi fatte. Il pubblico è un fruitore e un riproduttore attivo di quella lingua, che spesso si perde nel ridicolo. Il risultato è che molti finiscono per «ripetere pappagallescamente un pensiero che non c'è e usare espressioni consuete nelle trasmissioni televisive e nelle pagine dei giornali». Eco consiglia di essere «indulgenti» verso il nuovo italiano «ad uso del popolo» mentre delinea il profilo di una storia linguistica che ha conosciuto negli anni '60 una battaglia democratica per dare agli italiani una lingua nazionale. Quanto sia stata lunga e difficile quell'impresa lo raccontano le immagini di una trasmissione ("Parlare, leggere, scrivere. Vicende della lingua italiana") curata nel 1973 per la Rai dallo stesso Eco, da De Mauro e da Piero Nelli. In quel filmato, che nella versione originale durava cinque ore, si riflettono le vicende italiane più significative del dopoguerra, a cominciare dall'emigrazione che anche in campo linguistico e culturale rivelò la grande distanza tra un Nord industriale e progredito e un Sud arretrato alle prese con l'analfabetismo.

Quello dell'analfabetismo era un problema anche per una regione avanzata come la Toscana, e lo rivelò il caso di don Lorenzo Milani, il prete di Barbiana che insegnava ai bambini a leggere e a scrivere come occasione di crescita sociale e culturale. Nella battaglia per dare una lingua agli italiani la tv ebbe una parte decisiva. Eco e i linguisti sono i primi ad ammetterlo. Ma la tv di oggi è tutta un'altra cosa. Giovanni Ruffino, organizzatore del convegno, osserva che la tv ha smarrito la funzione unificante per inseguire gli ascolti. E il rischio è che con i suoi linguaggi e i suoi formati possa «trasformare l'Italia in un Grande Fratello». L'informazione viene messa sotto accusa anche dallo storico Nicola Tranfaglia per il quale giornali e televisione hanno «piegato la lingua alle esigenze del mezzo». E siccome è la televisione a imporre il suo dominio, le immagini hanno preso il sopravvento sulla parola. Del resto, le nuove generazioni dei giornalisti si sono formate sulle immagini e «sono le immagini più che il testo a produrre nell' informazione un effetto semplificante».

Per fortuna resiste il dialetto che, contrariamente a quanto paventava Pasolini, conosce una nuova stagione felice e recupera le radici etniche della lingua. Sarebbe una ricchezza culturale ma attenzione, avvertono ancora i linguisti: l'ideologia leghista, come spiega Ruffino, sta cercando di «piegare i valori della lingua regionale a una politica separatista e particolaristica». Tutto il contrario di quello che, negli anni della modernizzazione e del boom economico, si cercava di fare:l'uso del dialetto e della lingua come fattori di progresso sociale e di integrazione culturale. Fonte: La Sicilia

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14 giugno 2003
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