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Ancora aperte le indagini nei confronti del direttore del Sisde, Mario Mori, e del ''capitano Ultimo''

L'inchiesta riguarda la mancata perquisizione della villa in cui viveva il boss mafioso Totò Riina

18 settembre 2004

Non è stata accolta, dal gup Vincenzina Massa, la richiesta di archiviazione avanzata dalla procura di Palermo nei confronti del direttore del Sisde, Mario Mori, e del tenente colonnello dei carabinieri, Sergio De Caprio, il "capitano Ultimo", l'uomo che ha arrestato il boss Totò Riina, indagati entrambi per favoreggiamento nei confronti di Cosa nostra.
Il giudice ha fissato al 7 ottobre l' udienza per decidere sull'eventuale rinvio a giudizio.

L'inchiesta riguarda la mancata perquisizione della villa in cui viveva Totò Riina con la sua famiglia fino al giorno del suo arresto, avvenuto il 15 gennaio 1993. Il giudice, in base all'articolo 409 del codice di procedura penale, non ha accolto la richiesta dei pm di archiviare la posizione dei due indagati. Il provvedimento è stato notificato alle parti e alla procura generale, ed è stato firmato lo scorso luglio, ma la notizia si è appresa solo adesso.

A seguito dell'udienza del prossimo 7 ottobre, se il giudice riterrà necessarie ulteriori indagini, le indicherà con ordinanza al pubblico ministero, fissando un termine. Se invece giudicherà non necessari altri approfondimenti il gup disporrà con ordinanza che, nei successivi dieci giorni, il pm formuli l'imputazione con la richiesta di rinvio a giudizio. Negli ultimi due anni la procura, ritenendo che non vi fossero elementi soggettivi, ha chiesto per due volte al gup l'archiviazione di questa inchiesta, e in entrambi i casi il giudice l' ha rigettata, chiedendo ulteriori approfondimenti.

La ricerca dei motivi per i quali i carabinieri del Ros non eseguirono la perquisizione nella villa di via Bernini, in cui visse Totò Riina fino al giorno del suo arresto, avvenuto il 15 gennaio 1993, è al centro dell'inchiesta che vede indagati di favoreggiamento nei confronti di Cosa nostra il prefetto Mario Mori e il tenente colonnello Sergio De Caprio, conosciuto come "Ultimo". I magistrati avevano sostenuto che "contrariamente a quanto sostenuto da De Caprio e Mori, la perquisizione in via Bernini andava senz'altro eseguita senza indugio alcuno, subito dopo l'arresto di Riina".
"L'averne di fatto ostacolato l'esecuzione - scrivono i pm nella richiesta di archiviazione - determinandone il rinvio, costituì obiettivamente un'agevolazione degli uomini di Cosa nostra, che consentì loro di tornare sui luoghi ove il capo indiscusso di Cosa nostra aveva trascorso l'ultimo periodo della sua latitanza, per porre in essere le più svariate attività di inquinamento probatorio". Ma i pm non hanno riscontrato dolo nel comportamento dei due uomini dell'Arma, ritenendo che non vi fossero "elementi soggettivi".
Da qui la richiesta di archiviazione avanzata due volte.

Il 15 gennaio 1993 i carabinieri dissuasero i magistrati dal procedere alla perquisizione dell'abitazione di Riina, che era stata localizzata e tenuta sotto osservazione da alcuni giorni prima della cattura del boss. Gli ufficiali, in particolare De Caprio, con "l'avallo del generale Mori" (si legge nelle carte dei pm), avrebbero spiegato che in quel momento non era opportuno entrare nel covo, perché volevano individuare gli eventuali altri uomini d'onore che vi si potevano recare per prelevare la famiglia del boss. Ma l'attività di controllo alla villa cessò nella stessa giornata in cui venne arrestato Riina.
"Fu soprattutto la sospensione di ogni attività di osservazione - affermano i pm - a determinare un'obiettiva agevolazione di Cosa nostra, consentendo a quest'ultima di trarre il massimo vantaggio possibile dalla mancata perquisizione del covo, visto che solo la prosecuzione dell'attività di osservazione, in coerenza con la scelta di arrestare Riina lontano da via Bernini, avrebbe potuto attenuare l'altissimo rischio affrontato col rinvio della perquisizione, di compromettere l'acquisizione di documenti di sicuro rilievo eventualmente rinvenibili nella villa".

Gli investigatori sono entrati per la prima volta nell'abitazione del boss dopo alcuni mesi dall'arresto di Riina, quando tutto l'arredamento era stato portato via dagli uomini di Cosa nostra (come fu in seguito accertato anche per la testimonianza di alcuni collaboratori di giustizia), compreso un armadio corazzato a muro, che si trovava nella stanza da letto del capomafia. I magistrati sostengono che Mori e De Caprio non avrebbe detto la verità sui retroscena dell'arresto. "Quali fossero i motivi di tale condotta - si legge nella richiesta di archiviazione - il tenente colonnello De Caprio e il generale Mori, nell'immediatezza dell'arresto di Riina, fornirono ai magistrati della procura indicazioni non veritiere, o comunque fuorvianti, facendo credere a tutti che l'attività di osservazione sarebbe proseguita. E, parimenti, le dichiarazioni rese dai medesimi ufficiali ai pm nell'ambito del presente procedimento appaiono non veritiere o, quantomeno, reticenti".

Il tenente colonnello dei carabinieri Sergio De Caprio, meglio conosciuto come "capitano Ultimo", ha replicato con poche parole al nuovo mancato accoglimento, da parte del gip di Palermo, della richiesta di archiviazione avanzata nei suoi confronti e del generale Mario Mori, entrambi indagati per favoreggiamento nei confronti di Cosa Nostra. "Sempre nel rispetto delle scelte della magistratura, a me appare evidente - dice Ultimo, secondo quanto fa sapere il suo avvocato Francesco Romito - una convergenza oggettiva tra questa impostazione giudiziaria e i plausibili interessi di Salvatore Riina e della sua organizzazione".

- La vera storia dell'arresto di Riina e della mancata perquisizione del suo covo
- Il sito Internet del "capitano Ultimo"

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18 settembre 2004
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