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I "complici" dell'amianto a Palermo sono colpevoli

Confermate dalla Cassazione le condanne per tre ex dirigenti dello stabilimento Fincantieri di Palermo

22 novembre 2014

I giudici a Palermo hanno deciso che le persone che si sono rese "complici" dell’amianto sono colpevoli e devono essere condannate. Una decisione che, principalmente, fa riflettere e sembra, almeno per un attimo, riequilibrare la bilancia della giustizia a due giorni dalla prescrizione del disastro ambientale per le migliaia di morti finora causati dall'amianto degli stabilimenti Eternit piemontesi.
La Cassazione ha confermato le condanne per omicidio colposo a carico di tre ex dirigenti dello stabilimento Fincantieri di Palermo, per la morte di 37 operai uccisi anche loro dalle polveri di asbesto e per la malattia sviluppata da altri 24 lavoratori.
Un verdetto che riaccende la fiducia delle tante vittime del killer invisibile che uccide dopo decenni, delle loro famiglie in attesa di giustizia e della moltitudine dei malati che toccherà il picco nel 2025.

Anche l'Inail - l'istituto nazionale assicurativo per gli infortuni sul lavoro - riacquista piena legittimità a reclamare il risarcimento delle prestazioni economiche delle quali si fa carico per assistere economicamente chi è colpito da questo terribile tumore per il quale non c'è ancora una cura. Nel processo Eternit, infatti, l'Inail era stato estromesso in appello dalla costituzione di parte civile. Nel procedimento che si è concluso ieri sera, l'istituto assicurativo si è visto invece confermare il diritto alla restituzione almeno di buona parte dei circa sette milioni di euro anticipati per le vittime di Fincantieri che dovrà provvedere a restituire le ingenti somme. "Con questa decisione su Fincantieri, abbiamo ripreso fiducia dopo il momento di scoraggiamento per come si è concluso il maxi-processo Eternit", ha ammesso Giuseppe Vella, avvocato generale dell’Inail, aggiungendo che il differente esito processuale di queste due vicende, dimostra che "certamente il processo penale ha le sue vicissitudini, ma c’è qualcosa che non va nel nostro ordinamento e sarebbe meglio correggere fin dall’inizio i processi che presentano criticità".
In particolare, la Quarta sezione penale della Cassazione ha sostanzialmente confermato il verdetto emesso dalla Corte di Appello di Palermo il 6 novembre del 2012. Solo che nei tempi di definizione di questo processo - che è il filone principale delle inchieste sulle morti in Fincantieri - alcuni degli omicidi colposi contestati, quelli che risalgono al 1998-2000, si sono prescritti e di conseguenza le condanne inflitte ai tre imputati sono state ridotte. I risarcimenti, però, sono stati confermati in favore di tutte le parti civili, compresa la Fiom, Legambiente, l'Associazione esposti all'amianto, dato che la prescrizione è intervenuta dopo la pronuncia di colpevolezza.

Durante il processo, gli operai della Fincantieri hanno raccontato che nello stabilimento di Palermo si lavorava senza mascherine e con aspiratori che non funzionavano. Le polveri di amianto raccolte sul pavimento, che dovevano essere smaltite con apposite cautele, venivano semplicemente spazzate come fossero innocui granelli di polvere. Mancava un servizio di lavaggio delle tute: le mogli degli operai le lavavano a casa. Come faceva Calogera Gulino, anche lei morta di cancro pochi mesi dopo aver sepolto il marito Angelo Norfo.
C’è anche la storia di AntonioTricomi che a Fincantieri entrò a lavorare a 17 anni. Quel lavoro lo avrebbe condannato a morte, ha ricordato la figlia Maria, 36 anni. Il signor Antonino è morto a 58 anni, nel 2002, quando era appena andato in pensione e poco dopo essersi ammalato di asbestosi. La famiglia decise di non dirgli nulla sulla natura di quel male, né delle ragioni che l’avevano causato. Mai, ha raccontato la figlia, avrebbe pensato che il lavoro di cui viveva da sempre era lo stesso che l’avrebbe fatto morire. Nessuno lo aveva avvisato dei rischi procurati dall’esposizione all’amianto. "Ci prendevamo in giro - ha raccontato ancora la figlia -, cos’altro avremmo potuto fare io, i miei due fratelli, mia madre. Alla morte di mio padre abbiamo intrapreso una battaglia legale per chiedere giustizia".

[Informazioni tratte da Lasiciliaweb.it, Corriere del Mezzogiorno]

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22 novembre 2014
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