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I nuovi Corleonesi

Arrestati il nuovo boss di Corleone e il capomafia di Palazzo Adriano. Sempre uguale il copione: intrecci tra Mafia, affari e politica

23 settembre 2014

C’è la Corleone di Totò Riina. C’è un personaggio insospettabile. C’è un luogo intercettato dai carabinieri e ci sono le registrazioni che raccontano di affari di appalti, di estorsioni  e di campagne elettorali. C’è, insomma, ancora la mafia che continua a rigenerarsi nell’operazione che stamane all’alba ha impegnato oltre 100 carabinieri della compagnia di Corleone e del gruppo di Monreale, e che ha portato all'esecuzione di cinque ordinanze di custodia cautelare con l'accusa di associazione mafiosa tra Corleone e Palazzo Adriano.
Al blitz hanno partecipato unità cinofile e un elicottero. L'indagine che ha portato all'operazione è stata avviata nel 2012 dai pm della Direzione distrettuale antimafia di Palermo Sergio Demontis, Caterina Malagoli guidata da Leonardo Agueci, ha fatto luce sugli assetti mafiosi attuali del mandamento di Corleone.

Le manette sono scattate ai polsi di Pietro Paolo Masaracchia, ritenuto il capomafia di Palazzo Adriano e di Antonino Di Marco, impiegato comunale e custode del campo sportivo di Corleone. Insieme a loro sono stati arrestati altre tre persone.
L’operazione dei carabinieri è scattata grazie alle intercettazioni fatte nell’ufficio dell’insospettabile Di Marco, fratello di Vincenzo, che per anni ha svolto le mansioni di autista di Ninetta Bagarella, moglie del boss Totò Riina.
Le microspie hanno permesso di fare comprendere come l’organizzazione era dedita prevalentemente alla commissione di reati estorsivi con il tipico metodo mafioso, e di individuare con esattezza ruoli e funzioni dei suoi appartenenti.
Lo sviluppo delle indagini ha ricostruito anche l’intero assetto della famiglia mafiosa di Palazzo Adriano, nonché il suo completo inserimento all’interno del mandamento mafioso di Corleone. Le attività investigative hanno consentito, quindi, di accertare diversi episodi di pagamento, contribuendo a delineare ulteriormente l’operatività della locale famiglia mafiosa. Pagamenti, nella maggior parte dei casi, hanno mantenuto la canonica percentuale del 3% dell’importo complessivo del lavoro da eseguire. In altri casi, gli associati, oltre a richiedere il pagamento della somma di denaro, hanno imposto agli imprenditori anche l’utilizzo di manodopera e l’acquisto di materie prime presso imprenditori da loro indicati.

Quanto ai metodi utilizzati, al fine di convincere le vittime alla cosiddetta "messa a posto", la consorteria ha utilizzato il classico metodo intimidatorio della bottiglia incendiaria. Inoltre, per attirare l’attenzione degli imprenditori, gli affiliati avrebbero effettuato furti e danneggiamenti all’interno dei cantieri proprio nell’immediatezza dell’inizio dei lavori. In merito alla "cassa" le indagini hanno permesso di accertare che i proventi delle estorsioni convergevano in una cassa comune, gestita direttamente dal boss di Palazzo Adriano e che questi erano utilizzati per finanziare le diverse azioni criminali nonché le piccole spese di tutti gli appartenenti al clan.

Interessante (e inquietante) il modus pensandi di Antonino Di Marco colto dalle intercettazioni. L’impiegato comunale, infatti, portava spesso al suo clan i saluti di Salvuccio Riina (il terzogenito del "capo dei capi" che adesso vive a Padova dopo aver finito di scontare una condanna) e impartiva "lezioni di mafia": "Noi siamo una famiglia. C'è bisogno di serietà, educazione e rispetto". In una intercettazione Di Marco racconta degli insegnamenti ricevuti da Bernardo Provenzano: "Mi ha insegnato che bisogna avere le braccia aperte a tutti". "Noi dobbiamo essere con la gente, con chiunque", predicava ancora Di Marco, come a lasciar intendere una nuova linea per Cosa nostra, disposta a mettere da parte vecchie regole pur di tornare ad essere dentro la società e i palazzi che contano. Infine, l’importanza del basso profilo: prerogativa assoluta essere e rimanere un insospettabile. "La gente deve avere il dubbio, mai la certezza di chi comandi".

Oltre alle estorisioni, le intercettazioni hanno rivelato il consueto interessamento della mafia verso la politica. Le microspie hanno fatto emergere anche il particolare attivismo dell'organizzazione mafiosa per l'elezione dell'attuale sindaco di Palazzo Adriano. Di Marco è stato pedinato dagli investigatori mentre andava a Palermo per incontrare il primo cittadino. In auto, preparava il discorso: "Come in periodo di elezioni, come che sei sindaco, come che tu hai bisogno di qualunque cosa, però io ho bisogno pure di te".
L’"attività politica" del boss era stata già notata dalla procura per la campagna elettorale di un esponente dell'Udc, Nino Dina, attuale presidente della commissione Bilancio dell'Assemblea regionale siciliana. I militari hanno seguito Di Marco che entrava nella segreteria politica del deputato, a Palermo.

[Informazioni tratte da ANSA, Lasiciliaweb.it e dagli articoli di Ignazio Marchese per GdS.it e di Salvo Palazzolo per Repubblica/Palermo.it]

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23 settembre 2014
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