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Il Mac compie vent'anni

''Il 24 gennaio Apple Computer presenterà Macintosh. E vedrete perché il 1984 non sarà come «1984»''

24 gennaio 2004
Quando George Orwell dovette scegliere un punto del futuro nel quale collocare il suo incubo di una società totalitaria, schiavizzata dal Grande Fratello, optò per l'anno 1984.
Se il 22 gennaio 1984 lo scrittore inglese si fosse trovato a passare per una qualunque città degli Stati Uniti, avrebbe potuto pensare che le sue più fosche previsioni si fossero avverate: gli uffici chiusi, i negozi sbarrati, nessuno per le strade: oltre 100 milioni di americani inchiodati davanti agli schermi. Dallo stadio di Tampa, in Florida, si trasmetteva l'evento mediatico più importante dell'anno: il diciottesimo Super Bowl, Los Angeles contro Washington.
E quale sarebbe stato lo stupore di Orwell nel vedere apparire sui televisori accesi, durante un intervallo pubblicitario, una scena che sembrava presa proprio dal suo romanzo: una platea di uomini grigi e muti, arringati da una figura proiettata su un maxischermo. Lo scrittore redivivo avrebbe potuto temere il peggio, se non avesse visto lo schermo del Grande Fratello andare improvvisamente in frantumi e al suo posto apparire una scritta: "Il 24 gennaio Apple Computer presenterà Macintosh. E vedrete perché il 1984 non sarà come '1984'".

Sono passati vent'anni dal giorno nel quale il mondo sentì parlare per la prima volta di Macintosh. Lo spot, girato appositamente per il Super Bowl dal regista Ridley Scott (lo stesso di "Blade Runner" e del "Gladiatore"), non venne mai più trasmesso. Ma il Macintosh non smise di far parlare di sé. Quel parallelepipedo di plastica, nato dal genio del fondatore Steve Jobs, avrebbe rivoluzionato il concetto di personal computer. Per capire il motivo, bastava accenderlo: il Macintosh era il primo computer economico (costava 2495 dollari) a fornire una interfaccia utente grafica.
Per intenderci, mentre i contemporanei Ibm basati su sistema operativo Ms-Dos funzionavano (e avrebbero funzionato ancora a lungo) con la classica riga di comando testuale, Macintosh si utilizzava movendo il mouse su uno schermo composto di finestre e icone. Visto oggi, il monitor del primo Macintosh, benché piccolo (appena 9") e in bianco e nero, sembra ancora sorprendentemente familiare: ci sono i menu a tendina, le icone delle directory, il cestino.
I possessori di un personal computer non avevano mai visto nulla di simile. "Stiamo dimostrando che l'alta tecnologia non deve necessariamente intimidire gli inesperti", si legge in un comunicato dell'epoca. Fu un successo enorme: nei primi 100 giorni vennero venduti 50 mila esemplari. Alla fine dell'anno fiscale, Apple poté annunciare il record assoluto di vendite: 1,5 miliardi di dollari, il 54 per cento in più rispetto ai 12 mesi precedenti.

I "dinosauri dell'industria informatica", secondo la definizione che Jobs utilizzava per descrivere Ibm e gli altri concorrenti, erano frastornati. Ma non ci misero molto a riprendersi: nel 1985, Microsoft pubblicò la prima versione di Windows, un applicativo che si sovrapponeva al sistema operativo Dos fornendo un'interfaccia simile a quella dei Mac. Intel rilasciò il processore 80386, destinato a diventare il cuore di quei pc (i cosiddetti "Ibm compatibili") che avrebbero conquistato il mercato relegando il Mac in un angolo. In autunno, Steve Jobs venne allontanato dalla Apple e fondò una nuova compagnia, la NeXT, in un esilio lungo undici anni.
Solo nel 1996, quando NeXT fu acquistata da Apple, Jobs è stato reintegrato nella sua posizione di amministratore delegato. Da lì ha iniziato a guidare la riscossa del marchio puntando tutto, con la linea iMac, sull'appeal stilistico e sulla funzionalità del prodotto. Ciò nonostante, i fasti di vent'anni fa sono ormai inimmaginabili per il Macintosh, che non riesce ad andare oltre il 5 per cento del mercato dei personal computer.

Steve Jobs, al contrario, è più in forma che mai. La barba e i capelli sono grigi, ma lo spirito è lo stesso del ragazzo che nel 1976, insieme al compagno di college Steve Wozniak, fondò un'azienda di computer nel garage di casa. Le soddisfazioni, per lui e per Apple, vengono da un altro mercato, quello della musica digitale: iPod, il lettore mp3 di famiglia, detiene il 31 per cento del mercato, mentre iTunes Music Store, servizio che permette di acquistare canzoni online per 99 centesimi di dollaro, ha appena raggiunto quota 30 milioni di brani scaricati.

E proprio all’inizio di gennaio a San Francisco si è svolto il MacWorld, la fiera dei prodotti Macintosh.
Al Macworld è stato lanciato l'iPod Mini. Di dimensioni più piccole (più o meno è grande quanto una carta di credito), il Mini offre capacità ridotte rispetto al genitore (1.000 canzoni memorizzabuili contro 10.000), ma anche un costo più contenuto, 249 dollari. Ciò dovrebbe permettergli di competere con quei lettori Mp3 che utilizzano memorie flash invece che un hard disc fisso. Jobs, nella sua classica divisa in jeans e maglia dolcevita nera, ha anche presentato gli aggiornamenti fatti a iLife, l'equivalente del pacchetto Office di Microsoft, e un nuovo server che utilizza il processore Apple G5, e che deve fare i conti con Ibm, Dell, Sun Microsystems e Hewlett-Packard sul mercato dei computer aziendali.

Fonte: la Repubblica

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24 gennaio 2004
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