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Il ruolo pesante delle banche nel traffico delle armi leggere

Dei 639 milioni di armi circolanti nel mondo, circa la metà è nelle mani della popolazione civile

11 marzo 2004
Uccidono, annientano, massacrano, ogni anno,  migliaia di uomini e bambini (150 mila) procurando guadagni illeciti alle aziende produttrici facendo lievitare i dividendi delle cosiddette banche armate. Stiamo parlando delle armi leggere, strumenti invisibili e letali di guerra, che non vedendosi, pesano poco o niente sulla coscienza degli Stati che le producono. Poco interessa se in diverse parti del globo le guerre si fanno ancora con le pistole e i fucili, se in alcuni paesi i kalashnikov costano meno degli ananas e le granate si possono comprare al mercato. Il vantaggio per chi investe in questo campo, consiste nel fatto che non esiste una statistica ufficiale riguardante il traffico di armi. Infatti pur essendo, nel nostro paese, la vendita di armi il settore di punta dell’industria bellica nazionale, le armi leggere quasi non compaiono nelle relazioni che il Governo, in base alla legge 185/90 sulla trasparenza, è tenuto a presentare al Parlamento. Eppure i dati parlano chiaro! Il nostro paese secondo i dati Istat per il commercio estero nel periodo tra il 1993 e il 1997 è stato il principale fornitore di armi leggere ed esplosivi (500 tonnellate) alla Sierra Leone, coinvolta in una sanguinosa guerra civile, per un importo complessivo di 1.600.000 dollari.

Tutto ciò ovviamente non compare nelle relazioni governative, malgrado la Sierra Leone sia  tra i paesi più colpiti dal drammatico fenomeno dei bambini soldato e nei suoi confronti vige un embargo sulle vendite di armi in seguito alla risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu dall’Ottobre '97. Come è possibile? Il trucco è stato svelato dall’Oscar (Osservatorio sul commercio degli armamenti). Le vendite di pistole e fucili  sono effettivamente documentate ma sono state classificate come armi di uso civile (da caccia, da tiro o sportive) non rientrando così nella sfera di competenza della legge 185.  Fra l'altro questa legge, modificata e interpretata in maniera sempre più riduttiva, non permette al Parlamento di avere un effettivo controllo sull'export di armi e soprattutto sui destinatari finali. L’Europa  oggi, occupa un ruolo di primo piano nella produzione di armi leggere (soprattutto pistole e rivoltelle).  Sarebbero 84 milioni infatti,  le armi da fuoco circolanti nel Vecchio Continente e il numero sembra destinato a crescere secondo quello che emerge dall’indagine "Small Arms Survey 2003", progetto di ricerca finanziato da 12 paesi sulla diffusione delle armi leggere nel mondo.

Quando si parla di armi leggere ci si riferisce ad armi di piccolo calibro in cui sono compresi revolver, pistole, fucili, carabine, mitragliatrici e mitra ma anche mitragliatori pesanti, lancia missili e lancia granate portatili, armi e mortai portatili antiaereo e antimissile. A queste si aggiungono gli esplosivi tra cui le pericolose mine antiuomo, messe al bando in Italia. Nello scorrere i dati bisogna però tenere presente che si tratta di cifre parziali e che sicuramente il numero di strumenti di difesa  posseduti illegalmente è di gran lunga superiore. Sul pianeta esistono infatti 1.134 società produttrici di armi leggere sparse in 98 Paesi, per un giro d'affari che si aggira intorno ai 7,4 miliardi di dollari all'anno. Primi nella classifica della produzione  i Paesi europei, quelli del Nord America e i Paesi asiatici dell'area del Pacifico. Europa e Stati Uniti gestiscono il 90% delle esportazioni e il 70% delle importazioni dominando così, il mercato internazionale delle armi per uso civile. L’Europa occidentale è il più grande esportatore di rivoltelle e di pistole verso il Nord America, il Sud Africa e il Medio Oriente. Dei 639 milioni di armi circolanti nel mondo, circa la metà è nelle mani della popolazione civile, 84 milioni nelle mani di cittadini europei e ogni anno ne vengono prodotte 8 milioni di unità.  Inoltre anche se l’Europa è ancora lontana  rispetto ai 276 milioni di armi possedute dai cittadini statunitensi tuttavia le cifre continuano a crescere.

Dopo gli Stati Uniti, primo in classifica, e lo Yemen, al terzo posto troviamo la Finlandia, con 39 pistole ogni 100 abitanti. In Europa lo stato più armato è senza ombra di dubbio la Francia che possiede più armi leggere di Polonia, Svezia, Repubblica Ceca, Danimarca, Inghilterra e Galles messi insieme. Il possesso privato di armi in Germania e in Francia ha  raggiunto la metà di quello degli Stati Uniti. Per quanto riguarda l’Italia le armi registrate sono più di tre milioni, ma si presume che c’è ne siano in giro almeno un milione e mezzo non dichiarate.
Nel nostro paese, una legislazione molto permissiva, ha fatto si che la provincia di Brescia riesca a esportare nel terzo mondo 197 milioni di euro in armi leggere pari a metà di tutta l’esportazione balistica italiana (dati l’Istat).  I Paesi con una minore diffusione di armi, secondo l’indagine risultano essere Polonia, Belgio e Regno Unito a causa delle leggi molto severe che hanno reso molto difficile il possesso e la detenzione di armi. Secondo la "Rete di Azione Internazionale contro le Armi Leggere" il maggior esportatore nel mondo rimangono comunque gli  States con 14 miliardi di dollari, segue la Gran Bretagna con 4,6 miliardi, la Russia e Francia ambedue con 3,4 miliardi e Cina con 0,5 miliardi di dollari. Le aree del pianeta che importano il maggior quantitativo di armi sono: Nord Africa e Medio Oriente con 12 miliardi di dollari, seguono Asia e Pacifico con 8 miliardi, Africa con 0,9 miliardi e America Latina con 0,7 miliardi.

I risultati di questo commercio sono disastrosi. Negli ultimi 10 anni, secondo l’Onu, le sole armi leggere hanno causato la morte di 2,5 milioni di bambini e la disabilità di altri 2,5. Nel globo ci sarebbero infatti, più di 100 milioni di mine antiuomo che infestano 45 Paesi e che ogni anno causano decine di migliaia di morti e feriti. Secondo l'Unicef sono oltre 20 milioni i ragazzi e le ragazze costretti a fuggire a causa della guerra e oltre 1 milione i bambini rimasti orfani o separati dalle proprie famiglie. La guerra non è un gioco da bambini, eppure oltre 300.000 ragazzi e adolescenti vengono impiegati come soldati, nei conflitti che insanguinano il pianeta Terra. Alcuni combattono nelle fila degli eserciti governativi, altri nelle armate di opposizione ma in ambedue i casi sono esposti ai pericoli della battaglia e delle armi, trattati brutalmente e puniti in modo estremamente severo per gli errori. Una tentata diserzione può portare agli arresti e, in qualche caso, ad una esecuzione sommaria. La maggioranza di questi hanno da 15 a 18 anni ma ci sono reclute anche di 10 anni e la tendenza che si nota è verso un abbassamento dell'età. Il problema è più grave in Africa e in Asia ma anche in America e in Europa parecchi stati reclutano minori nelle loro forze armate. Negli ultimi 10 anni è documentata la partecipazione a conflitti armati di bambini dai 10 ai 16 anni in 25 Paesi.

A investire sul commercio di armi sono, prima di tutto, le banche che non agiscono mai direttamente. Gli istituti di credito hanno provveduto infatti, a mescolare le carte, svolgendo le operazioni finanziarie attraverso una fitta rete di società di intermediazione, in modo da non comparire sui documenti ufficiali. Tra i gruppi italiani coinvolti in varia misura figurano la Banca Nazionale del Lavoro, UniCredit, Capitalia (cioè la Banca di Roma), il Gruppo San Paolo Imi, la Banca Intesa, il Monte dei Paschi etc. I mediatori di armi (brokers) predispongono l'organizzazione e le facilitazioni tra fornitore e acquirente. Procurano la merce, preparano il trasporto e lo sdoganamento del carico alle frontiere e, senza entrare materialmente in possesso delle armi, realizzano altissimi guadagni. Spesso si utilizzano Paesi terzi senza che le armi passino sul suolo europeo. Questo è uno dei motivi per il quale oggi è letteralmente impossibile avere un resoconto aggiornato della situazione.
Spesso nel commercio di armi sono coinvolte organizzazioni della malavita come la mafia. E' il caso di un traffico di armi gestito da un ex militare serbo bosniaco, che importava in Italia, munizioni provenienti dalle tante guerre dell'ex Jugoslavia. Le armi avevano diverse destinazioni e fra i clienti c'erano anche esponenti delle famiglie mafiose di Enna, slavi e alcuni tunisini. Il traffico è stato scoperto dai carabinieri del Ros. I carabinieri hanno sequestrato in tutto 40 mitragliette ma si presume che ogni anno l'organizzazione ne importasse almeno tra i 300 e i 400 pezzi. I prezzi delle armi variavano a secondo se si trattava di nuovo o usato. Molti pezzi provenivano infatti, dalle tante guerre dell'ex Jugoslavia. Una Skorpion costava fra i 1.200 e i 1.400 euro, una pistola semiautomatica fra i 600 e i mille, una bomba a mano fra i 50 e i 200.

bambinisoldato.it
amnesty.it
banchearmate.it

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11 marzo 2004
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