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Immigrazione. Italia. Europa

Il piano Marshall siciliano, che chiede più ''unione'' all'Europa per risolvere il problema dell'immigrazione

23 ottobre 2004

Alla Conferenza delle Regioni Euromediterranee, tenutasi ieri a Taormina (ME), il presidente della regione Sicilia, Salvatore Cuffaro, ha illustrato le due principali direttrici sulla quale il, più volte nominato, Piano Marshall sull'immigrazione si muove.
Accompagnare il processo di decentramento amministrativo dei Paesi in via di sviluppo ancora legati ai poteri dello stato centralista e, immediatamente dopo, esportare modelli di crescita di microporzioni di territorio utilizzando esperienze vincenti in tutta Europa come quelle, in Sicilia, ad esempio, dei patti territoriali.
Un piano che ha sostanzialmente l'obbiettivo di intercettare, a favore delle regioni di 'frontiera' ed insulari una parte consistente dei 360 miliardi di euro che l'Europa mette a disposizione per le aree del cosidetto obbiettivo uno per il periodo 2007-2013.

Il "Piano" ha ricevuto l'apprezzamento di Gerard Galeote, presidente della Commissione sviluppo regionale del Parlamento europeo. Un progetto elaborato dalla Sicilia con fondi del Formez (un'istituto che fornisce assistenza tecnica e servizi formativi e informativi soprattutto alle Amministrazioni Locali) in duecento pagine ricche di proposte, dati, raffronti, e, soprattutto, un'idea guida: l'immigrazione clandestina che sale dal sud del mondo verso l'Europa si può fronteggiare soltanto riducendo il differenziale di sviluppo che in certe zone raggiunge il rapporto di uno a venti tra le due sponde del Mediterraneo.
Per fare ciò occorrono gli sforzi finanziari dell'Europa e le energie, le esperienze e il know-how delle regioni frontaliere che si intestano, così, una vera e propria scommessa inviando, ad esempio, i propri funzionari nelle aree disagiate a riproporre sul territorio modelli di sviluppo già risultati vincenti. Le linee di indirizzo degli interventi, il livello di risorse necessario, i tempi indispensabili messi a punto dalla task force Cuffaro sono già stati sottoposti (e saranno ulteriormente elaborati) a un gruppo di lavoro composto da rappresentanti di Marsiglia, Barcellona, Patrasso, Comotini e Creta, Rabat, Tangeri, Scusse, Smirne e Alessandria d'Egitto.

La parola d'ordine comunitaria in grado di trasformare il progetto in realtà è 'politica di prossimità', l'intervento individuato dall'Ue di sostegno alla corona di 'Paesi vicini e amici', comunque confinanti, ai quali l'Europa si rivolge per creare un sistema preferenziale di scambi e economici e politici. Una politica tracciata nella bozza di regolamento il 29 settembre scorso dalla commissione europea chiamata poi a valutare i 'piani bilaterali' elaborati dai paesi periferici.
Una politica che va daccordo col messaggio lanciato dal ministro dell'Interno, Giuseppe Pisanu,  pochi giorni dopo il vertice di Firenze tra i maggiori Paesi europei su stranieri e sicurezza,  Messaggio che ha sancito che il fenomeno delle migrazioni deve essere affrontato a livello continentale, con uno sforzo comune che deve abbinare misure di sicurezza e iniziative di sostegno economico ai paesi poveri.
"L'Europa apra gli occhi e smetta di guardare con paura lo straniero che arriva in cerca di lavoro per mantenere la sua famiglia. L'immigrazione è un fenomeno così vasto e complesso che sta modificando profondamente i processi economici, politici e sociali dell'intero pianeta. Non lo si può ridurre alla questione dei clandestini, che pure deve essere risolta. Chi ha responsabilità di governo deve adoperarsi per convincere le opinioni pubbliche che l'immigrazione è una necessità per chi parte ed è una risorsa, un'opportunità per chi l'accoglie".
Ciò richiede, secondo Pisanu, un approccio intellettuale diverso, un cambio di mentalità indispensabile per definire una nuova strategia che sia efficace nel tempo.

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In Italia sono oltre 2 milioni gli immigrati regolari: allo studio, del ministero dell'Interno, un progetto triennale per snellire le procedure.
Si riapre la polemica tra il ministro delle Riforme, il leghista Calderoli, e il ministro Pisanu

Sono 2 milioni 193 mila 999 i cittadini stranieri che oggi soggiornano regolarmente in Italia.
I permessi di soggiorno in scadenza, nel nostro Paese, sono quest'anno un milione 316 mila 179, mentre quelli rinnovati, aggiornati o rilasciati ex novo, dal primo gennaio ad oggi, sono stati un milione 147 mila 194. Le pratiche ancora giacenti presso le questure sono circa 260 mila. 
L'attesa per il rilascio del permesso è lunga in media 113 giorni, con deui tempi che variano da un minimo di 15 giorni (a Prato) a un massimo di 11 mesi (a Roma). Tempi che il Viminale si è fatto carico di alleggerire, grazie ai quattrocento lavoratori interinali  che dal 26 luglio scorso lavoratori interinali hanno rinforzato gli uffici immigrazione delle trenta questure, nel cui territorio si registra il maggior affollamento di stranieri.
Inoltre il ministero dell'Interno sta definendo un progetto triennale per snellire le procedure e abbattere i tempi di rilascio dei permessi, che prevede l'apporto iniziale di soggetti esterni alla pubblica amministrazione, fino ad arrivare a un modello definitivo che si basa sulla collaborazione tra prefetture, questure e Comuni, con costi decrescenti per gli immigrati.

Questi sono i numeri forniti alla Camera dal ministro dell'Interno, Giuseppe Pisanu, e le intenzioni che il ministero dell'Interno ha per quanto riguarda la regolamentazione degli immigrati.
Intenzioni e numeri che hanno scatenato nuovamente la polemica con il ministro delle Riforme, Roberto Calderoli.
"Sull'immigrazione mi sembrava che fossimo sulla strada giusta e questa improvvisa riapertura sui numeri del ministro dell'Interno Giuseppe Pisanu mi trova assolutamente in disaccordo e dovrà passare sul mio cadavere se pensa di aumentare quei numeri''. ''Ci sono delle aree del Paese - ha aggiunto l'esponente leghista - che sono praticamente occupate dagli extracomunitari, dove i nostri sono quasi minoranza. Qualcuno deve spiegarmi perché i cittadini nostrani non debbano essere padroni a casa propria per far fare qualche soldo in più a chi vuole usare questa forma di schiavitù del terzo millennio, piuttosto che assumere dei nostri concittadini e dover garantire i diritti previsti dalle leggi e dallo statuto dei lavoratori''. ''Qualcuno - dice ancora Calderoli - dovrebbe guardare come gli imprenditori li sfruttano, quando poi sono in mezzo alla strada il peso sociale dobbiamo pagarlo tutti''.

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23 ottobre 2004
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