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In Iraq continuano le torture. Un marine detenuto a Bagdad ha raccolto appunti in una Bibbia

20 dicembre 2006

''Così gli americani torturano ancora''
di Michael Moss (articolo del The New York Times tradotto da Anna Bissanti per Repubblica.it)

Una notte di metà aprile a Camp Cropper, un centro di detenzione di massima sicurezza dell'esercito degli Stati Uniti a Bagdad, la porta d'acciaio si è chiusa sferragliando alle spalle del prigioniero N. 200343.
I secondini americani nei giorni successivi sono andati periodicamente nella cella del detenuto, gli hanno messo le manette ai polsi e alle caviglie, gli hanno bendato gli occhi e lo hanno portato in una stanza imbottita nella quale lo hanno interrogato. Dopo un'ora o due, racconta l'ex detenuto, lo hanno riaccompagnato in cella, stremato e senza la possibilità di dormire. Le luci della sua cella infatti non sono mai state spente. Per buona parte del tempo nel corridoio ha risuonato a forte volume musica heavy metal o country, a ore sempre diverse è stato sbatacchiato senza spiegazioni e costretto a stare in piedi nella sua cella. Anche quando era sdraiato, non gli è stato consentito di coprirsi il volto per mettersi al riparo dalla luce, dal chiasso e dal freddo.

Dopo 97 giorni è stato rilasciato esaurito, depresso e terrorizzato
.

Il detenuto N. 200343 è soltanto uno tra le migliaia di persone trattenute e rilasciate dall'esercito americano in Iraq e il resoconto di tutto quello che ha passato fornisce uno spaccato dettagliato dei molti casi simili al suo nei centri di detenzione del Pentagono dai tempi dello scandalo per gli abusi di Abu Ghraib. Per molti aspetti, tuttavia, il suo caso è insolito. Il detenuto in questione infatti è Donald Vance, un veterano della Marina di 29 anni proveniente da Chicago e partito per l'Iraq come addetto alla sicurezza. Suo compito era quello di passare informazioni e soffiate all'Fbi in relazione ad attività sospette della società di sicurezza irachena nella quale lavorava, tra cui informazioni su quello che a suo dire si qualifica come un possibile commercio di armi illegali.
Quando su sua stessa sollecitazione i soldati americani hanno fatto irruzione nella società di sicurezza, Vance e un altro americano che lavorava lì sono stati arrestati come sospetti dai militari che non sapevano della sua attività sotto copertura.

A Camp Cropper, Donald Vance ha preso appunti sui dettagli della sua prigionia e li ha fatti uscire dal centro di detenzione all'interno di una Bibbia.
''Malato, molto. Vomitato'' ha scritto il 3 luglio. E il giorno seguente: ''Mi è stato detto nessuna telefonata finché esco''.
Nathan Ertel, l'americano imprigionato insieme a Vance, è riuscito a portarsi via alcuni documenti militari che gettano nuova luce sui centri di detenzione e sui suoi tribunali segreti.
Tra questi vi è un memorandum legale nel quale esplicitamente si nega ai detenuti il diritto ad avere un avvocato ad assisterli nelle udienze nel carcere fissate per determinare se debbano essere rilasciati o trattenuti a tempo indeterminato, forse per essere perseguiti.

''Perfino Saddam Hussein ha avuto maggiore assistenza legale di quanta ne ho avuta io'' dice Vance, che ha deciso di citare l'ex segretario della Difesa, Donald H. Rumsfeld, perché i suoi diritti costituzionali sono stati violati.
I militari non hanno mai spiegato perché hanno continuato a considerare Vance una minaccia per la sicurezza, tranne il fatto che alla fine le autorità hanno deciso di liberarlo dopo un ulteriore esame del suo caso. ''Trattare i cittadini americani in questo modo sarebbe stato assolutamente inconcepibile prima dell'11 settembre'' ha detto Mike Kanovitz, un legale di Chicago che oggi rappresenta Vance.

Il 20 luglio Vance ha scritto nei suoi appunti: ''Mi hanno detto: 'Te ne vai oggi'. Fatta doccia, sbarbato, visto dottore, avuto vestiti civili indietro e passaporto''. Uscendo dal centro di massima sicurezza, Vance ha detto: ''Mi hanno chiesto se avevo intenzione di scrivere un libro, se avevo intenzione di riferire la mia storia alla stampa, se pensavo di cercarmi un avvocato. Ho preso queste domande per un'intimazione: 'Chiudi la bocca e non parlare a nessuno di questo posto', così ho risposto: 'No, signore, voglio solo tornarmene a casa' ''.

Ertel è tornato a Bagdad e lavora nuovamente lì come contract manager. Vance è tornato a Chicago, e ancora soffre le conseguenze dell'essere stato prigioniero di guerra in Iraq. ''E' davvero dura. Non mi piace parlare di queste cose con la mia famiglia. Provo vergogna, mi sento depresso, ho incubi continui e direi che ormai soffro persino di paranoia''.

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20 dicembre 2006
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