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L'ora di religione

Il nuovo film di Bellocchio affronta il problema della fede, e lo fa con una vicenda paradigmatica

24 aprile 2002
Noi vi consigliamo di vedere ...

L'ora di religione
di Marco Bellocchio


Bellocchio affronta il problema della fede, e lo fa con una vicenda paradigmatica, quella di Ernesto Picciafuoco (Sergio Castellitto).
Affermato pittore e laico convinto, l'uomo apprende, con grande sorpresa, da un misterioso Don Pugni che è in corso la beatificazione di sua madre.
Naturalmente lui è stato tenuto all'oscuro di tutto e, come se non bastasse, riceve più o meno espilcite pressioni volte a un suo possibile riavvicinamento alla Chiesa. Suo figlio nel frattempo non vuole non frequentare l'ora di religione per paura di sentirsi diverso dagli altri bambini.
Il susseguirsi di questi episodi mette a dura prova la sua resistenza psicologica e l'uomo cade in una cupa depressione, forse già latente, attraverso cui non può che fare i conti con il passato.

Distribuzione: Istituto Luce
Durata: 102'
Regia: Marco Bellocchio
Con: Sergio Castellitto, Jacqueline Lustig, Chiara Conti
Genere: Drammatico

La critica
di Mario Sesti (Kataweb)

Chi sà se il cinema serve davvero a farci divertire come pazzi, a farci dimenticare chi siamo, ad abbandonarci all'estasi immediata e impagabile di una funzione così intrusiva e violenta nella nostra routine da farci uscire dal cinema grati e commossi, o spensierati. Nessuna teoria del cinema come evasione è mai riuscita sul serio a dimostrare che la semplice vacanza emotiva e intellettuale del grande scherno non implichi allo stesso tempo una sorta di risveglio in grado di renderci migliori quanto qualsiasi impegno intellettuale d'alto profilo. Ma si potrebbe dire qualcosa di molto simile per il contrario. Il vero cinema di ricerca, quello capace di rovesciare la crosta delle apparenze, di portare allo scoperto quanto di insopportabile e odioso accettiamo quotidianamente nel mondo, nessun vero autore è mai riuscito a toccare sul serio uno spettatore senza prima averlo scosso con emozioni profonde in cui è difficile separare l'angoscia dal più scatenato divertimento. L'ultimo film di Marco Bellocchio, L'ora di religione è una autentica testimonianza di ciò.

Diciamo che siete impegnati nella vostra normale giornata di lavoro, opure siete a casa indaffarati in qualcosa di totalmente ordinario, diciamo che qualcuno suoni alla porta per comunicarvi che vostra madre, defunta da anni, sta per essere proclamata beata e quindi candidata alla santità dalle più alte gerarchie ecclesiastiche. Potrebbe essere l'inizio di un film di Totò o l'esordio di un incubo alla Kafka. E' ciò che succede al protagonista del film, Sergio Castellitto, uno dei nostri migliori attori, come dimostra la strategia di stupore e fastidio, rabbia e incredulità che porta avanti con eroica determinazione e adirata tolleranza per tutto il film.

E' uno scherzo? No, è una cospirazione. Alla quale, scopre con orrore il protagonista, hanno partecipato, a sua insaputa, da anni, la quasi totalità delle persone alle quali è legato. La moglie dalla quale si sta separando, i fratelli, tutti (sia quelli che hanno scelto da tempo il conformismo più vieto, sia quelli che dopo la militanza armata si sono nascosti, pentiti, in una frustrata mediocrità). Tutti. Le vecchie zie, i cardinali, gli amici potenti, i dottori. La verità è che la madre, una donna modesta e limitata, è morta per mano di un figlio squilibrato e infelice. Lo stesso che, pressato dai parenti e dalle autorità, dovrebbe ora confessare, nella stanza dell'istituto psichico in cui si trova, di essere stato spinto al folle gesto da forze maligne.

E' il momento più emozionante e commovente del film, anche se occupato da una tremenda bestemmia: l' unico atto di autentica religiosità dell'intero film perchè esploso da un uomo che si trova nel rovescio della piramide del suo dolore e della sua disperazione. E' il posto nel quale, come sanno tutti i cattolici, Dio ama incontrare gli uomini alla ricerca di conforto, di tregua dal mondo e di amore.

Nulla di più lontano da ciò che la religione sembra essere oggi secondo il film di Bellocchio. Uno strumento di ambizione sociale, di egoismo e arricchimento, il territorio in cui una gerarchia di specialisti (dalla truppa dei sagrestani al quartier generale dei cardinali) si muove per il mondo militarizzando con arroganza e ferocia il proprio presidio.

Sarebbe facile leggere L'ora di religione come un'allarmata disamina del fondamentalismo che ha rotto gli argini in tutto il mondo o ammirare l'originalità con la quale Bellocchio descrive l'instaurazione di un regime invisibile nell'Italia di oggi, non attraverso la descrizione delle sue forme di potere istituzionale ma attraverso l'insinuazione osmotica del cinismo spietato e dell'individualismo più abominevole nella forma apparentemente neutra della legittima ricerca del proprio interesse: se più di due terzi del pianeta credono in un dio, qualche ragione ci sarà, è l'argomentazione che viene offerta dal parente più cinico e calcolatore, interpretato da una Piera Degli Esposti che galvanizza in una sola sequenza un personaggio indimenticabile.

Ma la verità è che Bellocchio non è interessato alla denuncia dell'aggressività dei nuovi volontari di santa romana chiesa o dell'ambiente politico che costituisce il suo fisiologico humus (una roma iperdestrorsa e neomonarchica, aristocratica, gaglioffa, decadente, erede grottesca della nobiltà della Dolce vita: ad essa appartengono personaggi, come quello di Toni Bertorelli, che colorano il film delle scene più irreali e divertenti, più brillantemente inquietanti), più di quanto lo sia a trasmettere l'oscura e densa sensazione di isolamento ed emarginazione che prova chi non è connivente con il nuovo formidabile marketing dell'oppio dei popoli. Ogni obiezione è oggetto di scandalo e censura, ogni dubbio inopportuno, ogni ironia scatena manovre punitive.

Chi non ha altri dogmi da oppore a tale esercito, e ha deciso di non averne dopo averne professati e smascherati degli altri altrettanto ingannevoli, è costretto alla disfatta sin dall'inizio. Si può solo sognare la rimozione simbolica di quest'orrore (velleità utopica che il protagonista materializza, nella sua professione di grafico e pittore, immaginando con il computer di cancellare l'Altare della Patria dal mondo con photoshop). O rifugiarsi in qualcosa - come fa lui con una donna alla fine del film - che possa promettere davvero abbandono, momentaneo annullamento e passione da scambiare con altri esseri inermi e confusi su questo pianeta. Qualcosa che può essere offerto solo dall'amore. E forse dal cinema.

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24 aprile 2002
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