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La terra dell'abbondanza

L'ultimo film del regista tedesco: ''una denuncia del male di vivere che si respira dall'altra parte dell'oceano''

16 settembre 2004







La terra dell'abbondanza

di Wim Wenders

Il tedesco Wenders, cittadino del mondo, attento alle realtà sociali e culturali di molti paesi, porta alla Mostra del Cinema di Venezia il film più politico e duro. Una denuncia del male di vivere che si respira dall'altra parte dell'oceano.
Paul Jeffries, reduce dal Vietnam, ha una sola missione: proteggere l'America. Dopo la tragedia dell'11 settembre, vive in uno stato di costante allerta, alla ricerca di potenziali minacce. Lana ha vent'anni, la sua passione è aiutare la gente ed è appena rientrata da un lungo viaggio missionario in Palestina. Paul è il suo unico parente. A dispetto di un'iniziale difficoltà, cominceranno un viaggio alla scoperta dell'America di oggi, dove regnano paranoia e paura e dove niente è ciò che sembra.

Distribuzione Mikado
Durata 114'
Regia Wim Wenders
Con John Diehl, Michelle Williams
Genere Drammatico


Wenders: la mia America, terra di povertà
"Amo gli Usa ma denuncio i danni fatti da Bush. In questo film la tragedia di vivere"
di Maurizio Porro, 'Corriere della Sera', 09 Settembre 2004

Wim Wenders torna favorito alla Mostra, dove ieri ha già vinto il cattolico Premio Bresson dell'Ente dello Spettacolo, applaudito da cinefili e cardinali, con un film intelligente, morale, incisivo sull'America del dopo 11 settembre. Farà sicuro discutere, si chiama Land of Plenty , "La Terra dell'abbondanza", esce domani in Italia con la Mikado che lo lancia in 100 copie.
Abbondanza di che?
"Quella materiale, ma è una ricchezza per pochi che nasconde un buco nero, un vuoto dove prospera invece la povertà, che non è un’invenzione: troppi non possono curarsi né studiare oggi negli States".
Un film contro l'America?
"No, figurarsi, la amo troppo fin dai tempi della mia passione per il rock e della cultura on the road che certo non rinnego. Nessun Paese ha difeso in questi anni la democrazia come l'America. Ma denuncio l'amministrazione Bush che ha handicappato la libertà e fa, dopo il crollo della Russia, una guerra impossibile contro il terrorismo, che non è un nemico, ma qualcosa di cui bisogna rimuovere le cause".
Che sono?
"La differenza tra i troppo ricchi e i troppo poveri".
Come vede il Paese dopo l'11 settembre?
"Sta pagando le conseguenze e da due anni è diventato nemico per la facilità con cui spesso l'Europa generalizza".
Cosa diranno gli americani di questo film?
"Mah, cosa vuole... Bush ha convinto tutti che chi non è d'accordo con lui è antiamericano".
Cosa si aspetta?
"Che possa essere un film utile".
Come si vive da americani oggi?
"Invasi dalla continua propaganda, ma privi di vera informazione, se non nel labirinto di Internet. Gli americani si sentono persi, credono sempre di essere al centro del mondo invece sono emarginati da almeno un decennio: isolati, ciechi e incapaci dell'ironia che abbiamo invece in Europa, specie voi italiani".
Nella sua inquietante e notturna storia a Los Angeles, un uomo, finto detective, in realtà fuori di testa, che si scopre poi reduce dal Vietnam, ha l'incubo di proteggere la sua terra e con una nipotina missionaria indaga su un fatto di sangue.
"Ce ne sono molti di tipi così in America, li abbiamo visti con i nostri occhi. I veterani hanno visto decurtata la pensione, vivono malissimo eppure continuano a credere. La gente pensa alla terra promessa e la politica diventa una nuova miscela esplosiva di guerra santa e fondamentalismo".
Quell'uomo da lei raccontato sembra uscito dal film di Michael Moore. 
"Fahrenheit 9/11 mi ha dato il background, è vero. Ma quello è un film polemico, un pamphlet, il mio è sulla tragedia di vivere con le conseguenze dell'11 settembre, evento che si può rappresentare solo tacendo su uno schermo nero".

La ragazza della missione (Michelle Williams) è la Bontà?

"La cultura cattolica le dà modo di affrontare il mondo con l'arma dell'amore: pura, coraggiosa, paziente".
Vincerà o no?
"Credo che sia, anche nel film, l'arma finale: se il nemico è fanatico noi radicalizziamo la democrazia".
Film polemico?
"No, la mia pellicola è un'invenzione poetica, tenta di aprire gli occhi e le orecchie, non credo possa risolvere nulla ma spero possa essere utile e far scoprire agli americani la propria insicurezza. Quando il mio Paul, cui voglio un gran bene, comincia a capire, spero che lo stesso accada anche agli americani: è un personaggio che mi è diventato molto caro, con tutta la sua confusione. Provo una gran compassione per lui e per quelli come lui".
L'ultima scena è a Ground Zero, oggi, e lascia un messaggio quasi di speranza: che mai più accada, non lo chiedono i morti.
"Non è un lieto fine, definisce solo la posizione morale entro cui si può agire. Dovevo girare lì, punto di non ritorno della storia, luogo emblematico".
Intanto ha finito un altro film Usa. Diverso?
"Diverso. Si chiama Don't Came Knocking , "Non venire bussando", l'ho scritto con Sam Shepard, che lo recita con Jessica Lange, Tim Roth ed Eve Marie Saint. È una western tragic comedy".
Recupero del vecchio West?
"Si svolge in Nevada e Montana, parla del microcosmo di una famiglia che però è dislessica moralmente, particolare".
Non ridiventerà autore europeo?
"Sì, presto giro in Germania un fim di matrice storica".
Si diverte a giocare col Leone d'oro?
"Non lo prendo così sul serio, ma adoro Venezia, è sempre un sogno, anche se in questo momento non mi sento proprio competitivo".

PRESENTATO IN CONCORSO ALLA 61MA MOSTRA INTERNAZIONALE DEL CINEMA DI VENEZIA (2004)

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16 settembre 2004
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