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Le università accettano la sfida lanciata dal governo

Finanziamenti solo a quegli atenei che dimostreranno di essere poli di garanzia ''aziendale''

10 ottobre 2003
Con l’affermazione del presidente della Conferenza dei rettori, Piero Tosi, sulla prontezza a verificare sul campo, quelle condizioni di qualità che consentono negli atenei la premiazione di comportamenti virtuosi e disincentivare condotte errate, in poche parole, basarsi su di un’autovalutazione e disponibile a finire sotto la lente di un'Authority esterna di accreditamento, si può ben dire che il mondo universitario italiano sta veramente cambiando.
Per qualcuno il momento è già bello e maturo, visto che oggi l'unico modo per governare i sistemi è quello di "governare i finanziamenti" e di conseguenza diventa indispensabile individuare il meccanismo per attribuire le risorse finanziarie. Questo è, appunto, la valutazione e l'accreditamento degli atenei.

Un possibile "catalogo" degli atenei accreditati, lo si potrà avere dopo che ogni singola università avrà sviluppato un meccanismo di responsabile auto osservazione  sui propri comportamenti, sul proprio bilancio, sul proprio output di produzione di ricerca o di fattore umano che si riflettono sull'intero sistema.
Il processo avviato potrebbe già andare a regime dal 2005-2006. I criteri per entrare nell'area del "marchio di garanzia" in parte sono già stati indicati: numero di abbandoni, immatricolazioni, laureati, occupati postlaurea, ma anche numero dei docenti di ruolo, adeguato rapporto insegnanti-studenti, presenza di laboratori, biblioteche, aule, servizi agli studenti.

Quindi le università accettano la sfida, tutta aziendale, della competizione lanciata dal governo, ma non hanno ancora perso la speranza di ottenere in Parlamento quelle risorse finanziarie che da tempo reclamano, necessari alla ricerca e ai fini di un valido posizionamento nell’ambito europeo, visto che la differenza degli investimenti in università e ricerca tra l’Italia e la media europea è dello 0,4% sul Pil che corrisponde a circa cinque miliardi di euro.

Per concludere, se non ci saranno investimenti adeguati per le università e la ricerca, gli atenei non potranno fornire ai Paese il servizio al quale sono preposti e il Paese dovrà trame le conseguenze. Ossia, se le università saranno costrette a chiudere bottega non sarà certo colpa loro.

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10 ottobre 2003
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