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Mafiosi, traditori e servi

Il 'capitano Ultimo': ''Ciancimino è uno dei tanti servi di Riina ed è gravissimo che ci sia qualcuno che lo legittima''

06 novembre 2009

Secondo Massimo Ciancimino, dunque, sarebbe stato Bernardo Provenzano a "vendere" il fraterno collega di criminalità Totò Riina alle istituzioni, quei pezzi dello Stato che all'inizio del 1990 avrebbe scelto la via, vergognosa e improponibile, della trattativa con Cosa nostra (LEGGI).
Un tradimento ordito da "U Zu Binnu", probabilmente, per cominciare l'inabissamento della mafia, dare un taglio netto agli eccessivi clamori causati dagli attentati, e infiltrare Cosa nostra nei gangli vitali della società tutta.
"Bernardo Provenzano indicò ai carabinieri la zona esatta del nascondiglio in cui trascorse l'ultima parte della latitanza Totò Riina", ha rivelato ieri il figlio di don Vito, rilasciando dichiarazioni spontanee ai magistrati nell’aula bunker del carcere di Pagliarelli di Palermo. E se è vero che Provenzano avrebbe  "venduto" il boss corleonese, tale circostanza confermerebbe che, a una prima fase della trattativa ne sarebbe seguita una seconda con un nuovo interlocutore.
Ciancimino jr ha raccontato che, nel periodo delle stragi mafiose l'allora capitano del Ros Giuseppe De Donno gli consegnò delle mappe di Palermo, chiedendogli di darle a suo padre e sperando di avere un contributo utile per l'arresto del boss latitante. Don Vito avrebbe trattenuto una copia delle mappe e un'altra l'avrebbe affidata al figlio perché la consegnasse a un uomo di fiducia del geometra Lo Verde, nome con cui l'ex sindaco indicava Provenzano. L'uomo del capomafia avrebbe poi restituito a Ciancimino la mappa con un cerchio proprio sopra la zona del quartiere Uditore in cui si nascondeva Riina. La cartina fu poi consegnata ai carabinieri e nel gennaio il boss '93 finì in manette.

Massimo Ciancimino, imputato di riciclaggio, tentata estorsione e fittizia intestazione di beni dopo essere stato condannato a 5 anni e 8 mesi in primo grado, ha consegnato anche ai pm Nino Di Matteo e Paolo Guido una serie di appunti e lettere del padre, sindaco mafioso noto per il famoso "sacco di Palermo", morto nel 2002. Tra questi, materiale definito di interesse investigativo che potrebbe servire per riscontrare le dichiarazioni sulla trattativa tra lo Stato e Cosa Nostra.
La scorsa settimana davanti la quarta sezione della corte d’appello, Ciancimino aveva sostenuto che ci sono "molte cose che non vanno" nella sua inchiesta e ha sostenuto che alcune intercettazioni in cui c’erano elementi a sua discolpa erano state indicate nei brogliacci come "irrilevanti". Stessa sorte sarebbe toccata a conversazioni con notizie di reato che "vengono valutate" dai magistrati.
Mercoledì scorso Ciancimino jr è stato sentito anche dai pm di Catania, con i quali ha parlato di imprenditori catanesi coinvolti in affari di mafia ma anche della conduzione delle indagini nei suoi confronti sul tesoro del padre Vito: "Io non ce l'ho con i magistrati che hanno coordinato le indagini su di me. Non sono loro infatti che eseguono le perquisizioni o che trascrivono le intercettazioni" ha detto, e alla domanda se il riferimento fosse ai carabinieri ha risposto: "Sì, ma dovranno essere i magistrati competenti ad accertare i fatti e a verificare se siano state sottratte prove a mio favore".

Non ha invece consegnato i nastri contenenti le registrazioni dei colloqui che l'ex sindaco di Palermo incideva di nascosto. "Io non so cosa contengano quei nastri", ha precisato Massimo Cinacimino, annunciando di volerli prelevare dalla cassetta di sicurezza dove sono custoditi a Vaduz, nel Lichtenstein, per consegnarli ai magistrati. Oltre agli appunti vocali per la redazione di un libro, l'ex sindaco avrebbe registrato anche alcuni colloqui avuti con i carabinieri del Ros, tra i quali l'allora colonnello Mario Mori.
Nell'inchiesta sulla cosiddetta trattativa al momento sarebbero indagati, oltre a Provenzano i boss Riina e Antonino Cinà. La procura ipotizza il reato di minaccia a corpo politico dello Stato.

La ricostuzione fatta ieri da Massimo Ciancimino è stata subito smentita dal colonnello dei carabinieri Sergio De Caprio, il "capitano Ultimo" che, insieme al generale Mori, condusse le indagini che nel 1993 portarono all'arresto del boss corleonese: "Ciancimino è uno dei tanti servi di Riina. Infatti è chiaramente falso che Riina sia stato arrestato in seguito alle dichiarazioni di Bernardo Provenzano". "Ma la cosa più grave - ha aggiunto - è che ci sia qualcuno all'interno delle istituzioni che legittima questo servo di Riina. Questo significa evidentemente che i servi di Riina sono anche all'interno delle Istituzioni e certamente non sono il generale Mori e il capitano De Donno: forse sono gli stessi che hanno isolato e delegittimato Giovanni Falcone e Paolo Borsellino".
 [Informazioni tratte da Ansa.it, Corriere.it, La Siciliaweb.it, Adnkronos/Ing]

 

 

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06 novembre 2009
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