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Ne muoiono tanti, come in guerra...

Morire di lavoro... morire senza senso nella quotidiana battaglia per ''tirare a campare''

22 novembre 2006

Il numero dei morti è come quello di una guerra.
Però non c'è nessuna battaglia, se non quella del quotidiano tirare a campare, tenendosi il lavoro che si ha, accettando tutto.
Ogni condizione...
Perché c'è chi a rubare proprio non vuole né andarci, né lo farebbe mai.
C'è chi è disposto a lavorare in qualsiasi maniera, guadagnando pure poco, ma onestamente...
Di lavoro si muore, si continua a morire, ogni giorno. Tutti i giorni.

Cento operai morti ogni mese: ''Più vittime qui che a Bagdad''

di Attilio Bolzoni (Repubblica.it, 21 novembre 2006)

In tutto il mondo, ogni anno ne muoiono più che in guerra. E in Italia più dei marines a Bagdad. Da tre a quattro al giorno. Se ne vanno in silenzio, nell'indifferenza. Se poi sono rumeni o moldavi o magrebini, a volte non fanno neanche statistica. Li raccolgono come sacchi e li buttano.
Da Milano a Palermo i caduti sul lavoro dal 2001 sono stati più di 7 mila, gli incidenti quasi 5 milioni.

E' quando comincia la settimana che il rischio è estremo, il lunedì. Verso le dieci del mattino nei campi, poco prima dell'ora di pranzo nei cantieri edili.
E' una strage che non finisce mai. Al Sud, a Roma, in Veneto e in Lombardia e in Emilia Romagna, regioni che hanno il primato delle tragedie conosciute e legalmente riconosciute. Poi ci sono le altre, le tragedie fantasma. Gli immigrati che spariscono all'improvviso, che volano giù da un'impalcatura e vengono abbandonati in una discarica oppure li lasciano lì, in agonia sotto le macerie. E' accaduto nemmeno due mesi fa davanti al mare di Licata, in provincia di Agrigento.
Sono in spaventoso aumento, secondo sindacati e organizzazioni onlus. E soprattutto per l'Associazione nazionale mutilati e invalidi sul lavoro (Anmil). Sono in calo, secondo l'Inail. Nei primi tre mesi del 2006 l'istituto per le assicurazioni contro gli infortuni ha certificato che gli incidenti sono stati settemila in più rispetto all'anno scorso. A fine marzo erano già 222 mila. Ma a ottobre sarebbero scesi del 9 per cento. I dati dell'Inail parlano di ''un risparmio di vite'' nel quinquennio precedente, i suoi rapporti più recenti sostengono che ogni annata va sempre meglio di quella prima e che dal 2000 c'è ''una tendenza complessiva al ribasso''. Dati e valutazioni contestatissimi.
È la ''guerra dei numeri'' su quei morti.

Tanti sono ragazzini. Bambini anche. Soltanto nel 2005, in Italia, sono stati 8.530 quelli che non avevano ancora 17 anni e sono rimasti vittime di una ''disgrazia'' sul lavoro. Dalla perdita della falange di un dito della mano sinistra all'infermità totale. La falange di un dito vale 3 mila euro l'anno di ''rendita'', 250 al mese. Nel linguaggio burocratico dell'Inail l'indennizzo ha proprio quel brutto nome: rendita.
I numeri raccontano tanto ma non raccontano tutto. ''E noi quelli dell'Inail li critichiamo sempre perché ci lasciano stupiti, sono fluttuanti, disomogenei'', accusa Sandro Giovannelli, il direttore dell'Anmil, l'Associazione mutilati e invalidi sul lavoro. Spiega: ''Non ci importa di segnalare se c'è una vittima in più o in meno, sono comunque sempre tante, troppe. E non giustificano mai i toni così ottimistici dell'Inail''. I dati che diffonde l'Inail non possono essere considerati ''consolidati'' se non passa almeno qualche mese, è questa una delle ragioni della distanza fra i suoi numeri e quelli di tutti gli altri. Una divergenza che accende furiose polemiche, anno dopo anno e report dopo report.

Per scoprire come si contano i morti e come si sfornano tabelle e grafici e si azzardano persino previsioni, venerdì scorso siamo andati in via Morgagni negli uffici della Fillea, il sindacato degli edili della Cgil. Abbiamo incrociato i dati da fonti diverse. E' stata una prova rivelatrice per il riscontro dell'andamento degli infortuni in Italia, dei processi di stima e della loro attendibilità.
Secondo l'Inail, nei primi sei mesi di quest'anno, gli incidenti sul lavoro nel settore delle costruzioni hanno subito una flessione dell'0,8 per cento. Ma alla Fillea, dove quotidianamente raccolgono le segnalazioni e le denunce di tutte le sciagure nei cantieri, al 15 novembre avevano registrato 228 incidenti mortali, 47 in più dello stesso periodo dell'anno precedente e già 37 in più di tutto il 2005. Da un meno 0,8 per cento dell'Inail a un più 26 per cento della Fillea Cgil. Due verità, due Italie.
''Quello che ci preoccupa è che le statistiche fotografano solo il lavoro regolare, quella vastissima area di sommerso nelle costruzioni arriva a punte del 50 per cento e sfugge a qualsiasi controllo'', denuncia Franco Martini, il segretario generale degli edili. Uno su cinque dei 191 edili ammazzati sul lavoro nel 2005 era immigrato, i lavoratori stranieri morti quest'anno nei cantieri sono già quasi il doppio, 52. E due erano minorenni. In testa alla luttuosa classifica del settore delle costruzioni c'è la Lombardia, subito dopo il Lazio. Le cause più frequenti di morte: caduta dall'alto; travolto da gru o ruspa; crollo di una struttura; colpiti da materiale, ribaltamento di mezzo; folgorato.

Dossier e contro dossier. L'ultimo è dell'Associazione mutilati e invalidi sul lavoro: nei primi sei mesi dell'anno 583 gli incidenti mortali.''La situazione è drammatica'', dice ancora il direttore dell'Anmil Sandro Giovannelli. E aggiunge: ''La tutela degli infortunati è diminuita, le aziende pagano troppo e i lavoratori ricevono poco. Nel 2000, in verità, il governo di centrosinistra aveva avviato una campagna per la sicurezza sul lavoro, però poi con Berlusconi si è fermato tutto''. E attacca il presidente dell'Anmil Pietro Mercandelli, che da ragazzino faceva l'idraulico e a 18 anni ha perso una parte di gamba: ''E' un'ecatombe quotidiana, ci vogliono più controlli, i costi delle sicurezza non possono essere considerati costi aggiuntivi e l'Inail continua incredibilmente a ridurre il fenomeno''.
Uno sterminio con morti invisibili. C'era stato il grido di dolore del presidente Giorgio Napolitano a fine giugno, quando un ragazzo messinese se n'era andato mentre stava tirando su i piloni dell'autostrada per Siracusa. Ai funerali di Antonio Veneziano c'era la corona di fiori del Quirinale, c'era un deputato della Regione siciliana che prima faceva il sindacalista e poi in chiesa solo panche vuote. Né un consigliere comunale, un rappresentante del governo, uno della Provincia. Ed era italiano Antonio.

''Degli altri spesso non sappiamo nulla, spesso non arrivano nemmeno in ospedale e quando ci arrivano non risultano vittime di incidenti sul lavoro'', racconta Gino Rotella, responsabile del dipartimento del mercato del lavoro e immigrazione della Flai Cgil. Svela il sindacalista: ''C'è un mondo parallelo e anche un sistema sanitario parallelo per quei disgraziati''.
Chi si fa male sul lavoro ed è un irregolare, se gli va bene viene portato in un ambulatorio clandestino. Ogni gruppo etnico ha i suoi ospedali volanti e i suoi medici. E' l'altra Italia, quella che nelle tabelle non compare mai. L'Italia della vergogna. Come quella dei morti di amianto. Come quella dei morti degli stabilimenti petrolchimici.
Chi lo sa quanti sono stati e quanti sono ancora i casi di tumore in quelle 13 aree a rischio ambientale, che vanno da Porto Marghera fino a Marina di Melilli? E quante sono le industrie killer che buttano sempre i loro fumi e i loro veleni?
Si fa calcolo con certezza solo per quei cadaveri ancora caldi, il lunedì mattina, il giorno più carogna sul lavoro.

 

 

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22 novembre 2006
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