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Omaggio a Walter Benjamin. Un intellettuale vero, forse l'ultimo del 900, estraneo a ogni catalogazione

''La sua persona è il vero strumento della sua opera''. T.W Adorno

25 settembre 2004

La notte tra il venticinque e il ventisei settembre del 1940 alla frontiera spagnola, mentre l'esercito nazista aveva già preso la Francia e avanzava incontrastato, Walter Benjamin, che stava fuggendo tentando di raggiungere gli Stati Uniti, si suicidò avvelenandosi.

"La sua persona è il vero strumento della sua opera".
T.W Adorno.

Berlino 1900
Il vento della storia ha ormai spazzato quasi tutto della metropoli modernista d'inizio Novecento. Sulla dura scorza della capitale tedesca - non ve ne fu mai altra - sono passate due dittature di colore opposto. Entrambe hanno lasciato ferite, laceranti e mai completamente cicatrizzate la prima, ancora troppo fresche e in fase di metabolizzazione la seconda, coprendo di "macerie" storiche la Berlino oggetto della raffinata nostalgia di Walter Benjamin. 

Chi era Walter Benjamin?
Definirlo è quasi impossibile e, di sicuro, non avrebbe amato essere definito.
Walter Benjamin, nato a Berlino nel luglio del 1892 da genitori ebrei era un intellettuale vero, forse l'ultimo del 900, estraneo a ogni catalogazione. La sua vicenda umana e la sua opera, così affini, hanno influenzato e "stregato" generazioni di linguisti, uomini di lettere, di teatro, di cinema. Difficile dare anche solo un'idea della portata del suo pensiero in uno spazio così ristretto. L'attenzione è qui rivolta in particolare ad una delle sue opere più lette e relativamente semplici come "L'Infanzia Berlinese"
I ricordi d'infanzia di Benjamin nascono tra il 1932 e il 1938, mentre Berlino diviene il principale palcoscenico della tragedia hitleriana. In essi, con raffinato lirismo e acutezza psicologica, rivivono i primi anni trascorsi nell'elegante quartiere di Grunewald, accanto alla sorella Dora e al fratello Georg, che verrà ucciso nel 1942 nel campo di concentramento di Mauthausen.

Per Benjamin il ruolo del bambino non è solo quello "classico" di scoprire il mondo, esigenza implicita nella sua natura di piccolo-uomo, ma anche quello ben più profondo di togliere la maschera ai miti degli adulti e delle classi dominanti. Questo grazie al rapporto esclusivo, intriso di magia e di simboli, che il bambino ha con il linguaggio.     
Già nel 1916, in uno dei suoi primi saggi, scriveva: La lingua non è mai soltanto comunicazione del comunicabile, ma anche simbolo del non-comunicabile.

Da Infanzia Berlinese attorno al millenovecento 
"[…] La nostalgia che l'alfabetiere mi risveglia mostra quanto esso sia stato tutt'uno con la mia infanzia. È questa che vi cerco in realtà: tutta la mia infanzia, condensata nel gesto col quale la mano inseriva le lettere nella scalanatura in cui esse si allineavano. La mano può ancora sognarlo, ma mai ritrovarlo, mai ripeterlo con uguale verità. Allo stesso modo uno può sognare come ha imparato a camminare. Ma invano. Adesso sa camminare, imparare a camminare non può farlo più."
[…] Non sapersi orientare in una città non vuol dire molto. Ma smarrirsi in essa come ci si smarrisce in una foresta, è una cosa tutta da imparare. 
Chè i nomi delle strade devono suonare all'orecchio dell'errabondo come lo scricchiolio dei rami secchi e le viuzze interne gli devono scandire senza incertezze, come le gole montane, le ore del giorno. […] 
Il paradosso è la stretta porta attraverso cui passa la verità."
(Ombre corte)  

La svolta del '26: breve incontro con il marxismo.
Nel 1926 Benjamin è a Mosca dove vive un travagliato amore per Asja Lacis e per il marxismo. Nasce Strada a senso unico, in cui Benjamin tenta un'azzardata sintesi tra ebraismo e la dialettica marxista.
"...la borghesia, sia che vinca o che soccomba nella lotta, è comunque condannata a perire dalle sue interne contraddizioni che le riusciranno fatali nel corso del suo sviluppo. La questione è soltanto se essa perirà per mano propria o per mano del proletariato…".
Benjamin tuttavia non si spoglia mai della sua pelle di critico e non accetta nulla come un dogma, analizza il materialismo e tenta di correggerlo.

L'Angelo della storiaAngelus novus di Paul Klee
"C'è un quadro di Klee che si chiama Angelus Novus. Raffigura un angelo che sembra in procinto di allontanarsi da un qualcosa che cattura il suo sguardo. Gli occhi sono spalancati, la bocca aperta e le ali tese. L'angelo della storia deve avere questo aspetto. Il suo volto è rivolto al passato.
Dove noi vediamo una catena di eventi, lui vede un'unica catastrofe, che continua a produrre macerie su macerie rovine che si accumulano ai suoi piedi. Vorrebbe fermarsi a svegliare i morti a ricomporre ciò che è infranto. Ma dal paradiso si alza una tempesta che si impiglia nelle sue ali, tanto violenta che l'angelo non riesce più a chiuderle. Questa tempesta lo sospinge continuamente verso il futuro a cui gira le spalle, mentre il cumulo di macerie cresce a raggiungere il cielo. Ciò che noi chiamiamo progresso è questa tempesta"
   
   
1940 Il destino incalza
L'11 gennaio 1940 scrive "l'isolamento in cui mi trovo da sempre è accresciuto dalle circostanze del tempo. Il residuo di intelletto che, dopo tutto quello che hanno passato, è ancora rimasto agli ebrei, non sembra particolarmente saldo. Il numero di coloro che si sentono a proprio agio in questo mondo si va riducendo sempre più".
Tra il febbraio e l'aprile-maggio 1940 scrive le Geschichtphilosophische Thesen (Tesi sul concetto di storia), il suo ultimo lavoro. Il 14 giugno Parigi è occupata dalle truppe tedesche. Benjamin è già in fuga verso il sud. Si rifugia a Lourdes da dove scrive all'amico Burckhard per ottenere il permesso per entrare in Svizzera in attesa del visto per gli Stati Uniti. A fine agosto raggiunge Marsiglia; ottiene un visto di transito per Spagna e Portogallo, ma non quello di uscita dalla Francia. Decide allora di valicare il confine attraverso i Pirenei insieme al figlio Joseph e all'amico Henni Gurland. A pochi passi dalla salvezza in Spagna, si toglierà la vita con una dose di morfina nella notte tra il 25 e il 26 settembre in una pensione di Port Bou ultima, anonima tappa della sua eterna fuga. Il figlio e l'amico riusciranno a passare il confine portando con loro un ultimo biglietto di Benjamin: "Je vous prie de transmettre mes pensées à mon ami Adorno".

Benjamin ha lasciato anche saggi capitali su Kafka, Goethe, Baudelaire ma anche folgoranti aforismi, impressioni di viaggio, pagine di ricordi, oltre a magistrali testi teorici. "Il compito del traduttore" (1926); "L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica" (1936).

Cristina Unterberger

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25 settembre 2004
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