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Pensioni alla siciliana

Ma i ''pensionandi'' della Regione Siciliana i privilegi delle ''baby pensioni'' ce l'hanno oppure no?

03 novembre 2006

Martedì scorso la Corte dei conti siciliana ha depositato una sentenza nella quale ha dato ragione a 102 dipendenti regionali che avevano chiesto di poter andare in pensione con 25 anni di anzianità.
Un provvedimento che però riguarda anche tutti gli altri ''regionali'' nelle stesse condizioni che avevano chiesto l'arbitrato della Corte. Se si dovesse verificare il via libera indifferenziato e contemporaneo per tutti, il governo regionale siciliano verrebbe a trovarsi nella difficile situazione di dover sborsare circa 300 milioni di euro per il pagamento delle liquidazioni del Tfr e per gli adeguamenti maturati dalla data della presentazione dei ricorsi.
Sembra che questi soldi non siano in cassa.

Il ''fenomeno di malcostume''  delle ''baby pensioni'', non è roba nuova in Sicilia. Si è sempre molto parlato dello ''scandaloso sistema pensionistico siciliano'' tenuto in piedi dalla legge 2 del 1962 che stabiliva in 25 anni di servizio il ''tetto'' per la pensione. Alle donne quella legge offriva, poi, un ulteriore scivolo di 5 anni in considerazione delle maggiori difficoltà che incontravano nell'inserimento del mercato del lavoro che, peraltro, avveniva quando erano già madri. Quel ''sistema'' ha resistito a lungo, anche se non è esatto considerarlo esclusivamente ''siciliano''. Sei anni fa, nel 2000, per esempio, proprio mentre il governo regionale di centrosinistra si apprestava a varare una vasta riforma che, tra l'altro, tendeva a livellare le differenze con le leggi nazionali, la regione col maggior numero di dipendenti pubblici andati in pensione sotto i 50 anni era la Lombardia. Al Sud la Sicilia era superata da Campania e Puglia. E nel 2002 proprio la Puglia approvava un decreto e concedeva incentivi per i prepensionamenti che arrivavano anche a 74 mensilità.

E' stato il governo di Angelo Capodicasa (Ds) - all'epoca l'attuale governatore, Totò Cuffaro, era assessore all'agricoltura di una formazione di centrosinistra - a mettere in moto, nel 2000, la macchina delle baby pensioni. ''Volevamo fare una grande riforma del decentramento e trasferire una serie di poteri ai Comuni e alle Province, in modo anche da snellire e svecchiare la mastodontica macchina regionale che allora contava credo 16.500 dipendenti'', ha spiegato Capodicasa, insistendo: ''Il tentativo di trasferire il personale agli enti locali era impraticabile perché nessun regionale avrebbe accettato di andare al Comune o alla Provincia. Non rimaneva che il prepensionamento. E allora abbiamo offerto l'ultima ''finestra'' possibile prima di far scattare l'adeguamento alla legge nazionale. Avevamo calcolato di riuscire a dimezzare addirittura l'organico, il numero ideale per la nuova organizzazione della burocrazia regionale pensata dalla riforma che avevamo in animo di varare''.
Quindi, viene da chiedersi, i soldi per pagare le liquidazioni a quel tempo c'erano? Il diessino siciliano sostiene di sì: ''Avevamo accantonato 1500 miliardi di vecchie lire. Ma poi ci fu il ribaltone, cadde il governo, la riforma morì lentamente e rimase la finestra per i prepensionamenti. I 1500 miliardi, però, furono incamerati dal governo di centro destra di Cuffaro e così non si trovarono più i fondi per agevolare le uscite. Quindi arrivò il blocco di Cuffaro che fermò l'esodo''. E da qui i ricorsi alla Corte dei Conti e, martedì scorso, la risposta che ha dato ragione agli aspiranti ''baby pensionati''.

Per il ministro del Lavoro, Cesare Damiano, tali '' inaccettabili e vergognosi privilegi'' riservati ai regionali siciliani, vanno aboliti. ''Non possono esserci lavoratori che vanno in pensione a 60 anni di etò e 35 di contributi e, allo stesso tempo, situazioni di questo genere, con lavoratori che escono con solo 25 anni di lavoro''. Il ministro ha quindi annunciato di voler ''superare queste situazioni, nei settori pubblici e privati'' nella trattativa sulla riforma del sistema previdenziale che si aprirà a gennaio.
Di tutt'altro avviso il presidente della Regione siciliana, Totò Cuffaro, secondo il quale ''il ministro Damiano mostra di avere idee confuse. I dipendenti della Regione siciliana hanno lo stesso trattamento pensionistico della pubblica amministrazione perché così stabilisce la nostra legislazione''. Cuffaro ha poi riepilogato l'iter di questa vicenda, raccontando quello che si è riassunto all'inizio: ''La norma che consentiva ai dipendenti della Regione siciliana di andare in quiescenza dopo soli 25 anni di lavoro risale all'unico governo di centrosinistra della storia di Sicilia: quello presieduto da Angelo Capodicasa. Infatti, la Regione aveva adeguato il suo regime pensionistico sulla scia della riforma Dini. Poi, con l'articolo 39 della legge 10 venne reintrodotta la possibilità di andare in pensione con soli 25 anni di contributi. E' stato il governo da me presieduto, nel corso della scorsa legislatura, a cancellare questa possibilità ed uniformare il quadro normativo a quello nazionale. Dalle parole del ministro Damiano, però, sembra quasi che tutta questa storia non sia mai accaduta''.

Cuffaro ha poi sottolineato che la sentenza depositata martedì dalla Corte dei conti ''non è in sintonia con la volontà del governo e con la legge da noi voluta. I dipendenti della Regione siciliana sono una risorsa e non è possibile pensare che vadano in pensione dopo soli 25 anni di lavoro. E' giusto che prima di andare in pensione diano il loro contributo pieno allo sviluppo della Sicilia''. ''Resisteremo - ha concluso Cuffaro - alla decisione della Corte dei Conti nelle sedi opportune. Ed è per questo che gli uffici dell'amministrazione regionale hanno già contattato l'Avvocatura dello Stato per proporre appello, con richiesta di sospensiva, alla sentenza della Corte dei conti''.

Alfredo Liotta, capo del personale della Regione Siciliana, esclude che la sentenza della Corte dei conti diventi esecutiva, dal momento che ''sarà oggetto di ricorso e di richiesta di sospensiva''. Gli aspiranti pensionati, ovviamente, gridano alla vittoria. E l'agguerrito sindacato dei dipendenti regionali, il Cobas/Codir - che vanta il maggior numero di iscritti -, ha già fatto intendere che sarà guerra. ''Il ministro Cesare Damiano prima di parlare farebbe bene a informarsi: in tal modo non avrebbe ignorato che dal 1° gennaio 2003 tutti i dipendenti regionali hanno lo stesso trattamento pensionistico dei lavoratori della pubblica amministrazione così come regolamentato dalle leggi dello Stato'', hanno sottolineato i segretari Cobas/Codir, Dario Matranga e Marcello Minio. ''La vicenda giudiziaria - hanno aggiunto i due sindacalisti - si riferisce alla negazione di un diritto acquisito e di cui i dipendenti regionali erano in possesso prima dell'entrata in vigore della riforma regionale sulle pensioni: ecco perché i giudici della Corte dei conti non potevano che dare ragione ai lavoratori''. ''Ci stupisce - hanno concluso - che un alto esponente del governo nazionale, anziché fare il suo dovere lavorando nella direzione del recupero dei contributi degli oneri previdenziali che la Regione non ha ancora versato all'Inpdap (l'obbligo scattava dal 1° gennaio 2004 per tutti i 14.500 dipendenti) giochi a sparare sui lavoratori. Infine, visto che il ministro è così sensibile all'abolizione dei privilegi desideriamo sapere se ha già presentato una proposta per abolire le scandalose posizioni pensionistiche riservate ai parlamentari nazionali e regionali a fine mandato''.

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03 novembre 2006
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