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Più vicino il vaccino italiano per curare il melanoma

Avviata la fase II della sperimentazione per testare una nuova terapia anti-tumorale

16 marzo 2010

Più vicino il vaccino 'made in Italy' per curare il melanoma, neoplasia che conta 7.500 nuovi casi all'anno in Italia. L'Istituto superiore di sanità (Iss), in collaborazione con l'Istituto tumori Regina Elena (Ire) e il San Gallicano di Roma, avvia infatti la fase II della sperimentazione per testare una nuova terapia di vaccinazione nei pazienti operati per metastasi da melanoma.

Lo studio, hanno spiegato gli esperti riuniti ieri a Roma, coinvolgerà 50 persone, 20 delle quali già selezionate. "Dopo una prima fase pilota di ricerca su questo vaccino combinato con chemio o interferone alfa, abbiamo deciso di avviare la fase II - ha spiegato Enrico Garaci, presidente dell'Iss - Si tratta per noi di un lavoro strategico, che mostra come il risultato di una ricerca di base svolta in Istituto da oltre 20 anni possa essere trasferita nella pratica clinica. Questo studio - ha proseguito Garaci - nel quale abbiamo investito un milione di euro e di cui abbiamo già testato la sicurezza e la tollerabilità, potrà dare risultati in tempi abbastanza brevi. E costituisce un'opportunità terapeutica enorme per quei pazienti che oggi non hanno alternative dal punto di vista della cura". "Qualora questo vaccino terapeutico si rivelasse efficace - ha sottolineato Garaci - potremo inoltre applicarlo come prevenzione, nei casi in cui il tumore è ad alto rischio di recidiva".
"A questo punto siamo ottimisti - ha detto Caterina Catricalà, direttore del Dipartimento clinico sperimentale di dermatologia oncologica e della melenoma Unit del San Gallicano - la scienza deve esserlo sempre. E il nostro obiettivo è quello di avere un'arma in più contro un tumore in costante aumento".

Al centro del trial una terapia innovativa, basata sulla rilevazione di alcuni parametri biologici specifici. "I criteri per partecipare al protocollo - ha spiegato Virginia Ferraresi dell'Oncologia medica dell'Ire - includono pazienti con melanoma" post-intervento, con più di 18 anni e "ad alto rischio di ricaduta, che non presentano alcuna metastasi, né clinica né radiologica. Il vaccino, inoltre, sarà somministrato solo a coloro che dopo un prelievo di sangue risultano positivi per l'antigene di istocompatibilità HLA-A*0201, presente in circa il 45% della popolazione italiana".
L'Iss e l'Ire hanno attivato un sito ad hoc per spiegare lo stato dell'arte degli studi in corso, con un link ('contattaci') a cui i pazienti possono rivolgersi per informazioni più specifiche sul trial (www.iss.it/tria).
Ma quali sono i malati che potrebbero giovarsi di questo approccio? "Questa vaccinoterapia - ha spiegato Enrico Proietti, direttore del Reparto applicazioni cliniche dell'Iss - è indicata quando il numero di cellule tumorali è stato drasticamente ridotto. In questa fase il tumore è particolarmente suscettibile a un attacco da parte delle cellule del sistema immunitario. Per questo i trattamenti possono essere meno aggressivi, più 'dolci', e dunque meglio tollerati rispetto a quelli usati contro la malattia conclamata". I pazienti coinvolti nel trial di fase II saranno trattati ambulatorialmente e potranno "tornare immediatamente alle loro abituali occupazioni", ha detto inoltre.
"E' importante sottolineare che, una volta partito lo studio, saranno necessari almeno 4 anni di osservazione", ha precisato Francesco Cognetti, direttore del Dipartimento di oncologia medica del Regina Elena. Se tutto andrà bene dovrà essere organizzato un trial più vasto, di fase III, su centinaia di soggetti.

Indicazioni preziose per gli scienziati arriveranno anche dallo studio dei parametri biologici di ciascun paziente. "Sappiamo che la qualità del sistema immunitario di un malato è determinante nella risposta terapeutica - ha evidenziato Paola Nisticò, ricercatore del Laboratorio di immunologia dell'Ire - Per noi è rilevante definire dei biomarcatori in grado di predire la risposta del paziente. E identificare i meccanismi attraverso i quali i linfociti T riescono ad essere attivati e 'rieducati' a riconoscere le cellule tumorali".
Quella del vaccino terapeutico in fase II non è la sola buona notizia nella lotta al melanoma. "Una malattia insidiosa, che tende a recidivare. Recentemente un anticorpo monoclonale (ipilimumab, che agisce sbloccando l'inibizione del sistema immunitario) ha dimostrato - ha spiegato ancora Cognetti - di possedere una buona attività in alcune centinaia di pazienti, trattati per malattia avanzata in circa 20 trial clinici nel mondo. Questo farmaco è in corso di studio presso la nostra Divisione, in pazienti che hanno subito una resezione completa del melanoma ma ad alto rischio. In pratica - ha detto l'oncologo - nel nostro istituto ai pazienti sottoposti all'asportazione di melanoma e ad alto rischio di recidiva vengono offerte due opzioni" innovative.
Il successo della ricerca sulla vaccinoterapia sarebbe una tappa importante della battaglia contro questa neoplasia, "perché si tratta di un tumore in costante aumento - ha sottolineato la Catricalà - Nell'ultimo decennio si stima che i nuovi casi l'anno nel mondo siano 100.000. La buona notizia - ha aggiunto - è che aumentano i casi diagnosticati in fase precoce, anche grazie a nuovi microscopi, capaci di mostrarci elementi sospetti per iniziare a sospettare la presenza di un problema precocemente".
Questa sperimentazione made in Italy 'a due mani' "testimonia uno sforzo notevole contro il melanoma - ha specificato Francesco Bevere, direttore generale Ire-San Gallicano - Ed è un esempio di collaborazione che contribuisce alla ricerca traslazionale. Gli studi vanno avanti - ha concluso - ma abbiamo bisogno di un sostegno sul piano economico". [Adnkronos Salute]

 

 

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16 marzo 2010
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