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La missione italiana ''Antica Babilonia'' si è conclusa. Entro il 2 dicembre rientreranno anche gli ultimi militari italiani. Ma la guerra in Iraq continua

28 novembre 2006

Pochi giorni ancora e l'Italia delle forze armate, per intero, andrà via dall'Iraq. Di soldati italiani a Nassiriya ne rimangono ancora 60-70, per la consegna delle caserme alla polizia irachena, ''tra il primo e il due dicembre anche questi saranno tutti a casa'', ha detto il presidente del Consiglio, Romano Prodi, in una intervista di questi giorni.
Il presidente del Consiglio ha voluto anche spiegare che il grosso del contingente italiano ha già lasciato l'Iraq, e d'aver già parlato anche con il presidente americano George W. Bush: ''Mi ha detto che gli dispiaceva ma che sapeva che ce ne saremmo andati dall'Iraq perché lo avevo detto in campagna elettorale''.

Era l'aprile del 2003 quando iniziò la missione ''Antica Babilonia'', che decretò la presenza delle forze armate italiane in Iraq.
Complessivamente l'operazione ha impegnato 1.677 militari di esercito, marina, aeronautica e carabinieri. La maggior parte di questi uomini è stato impiegato nel compito di controllare il Dhi-Qar, la provincia meridionale del paese con capoluogo Nassiriya.
Quasi tre anni di duro e pericoloso impegno, nei quali l'Italia ha subito una decina di gravi attacchi da parte della guerriglia irachena. Il più clamoroso, quello del 12 novembre 2003, quando un camion bomba scagliato contro la base ''Maestrale'' di Nassiriya provocò 19 vittime (17 militari e due civili).
Complessivamente, in combattimento o in incidenti avvenuti durante questa lunga campagna ''di pace'', sono costati la vita a tredici soldati. A questi va aggiunta la morte di Nicola Calipari, funzionario del Sismi ucciso ad un posto di blocco statunitense mentre era impegnato nelle operazioni di rilascio della giornalista sequestrata Giuliana Sgrena.

Dunque, va via l'Italia, e in suolo iracheno, che in tre anni è diventato sempre più pericoloso ed ostile, rimangono solo i principali protagonisti della ''grande coalizione'': la Gran Bretagna, che vedrà andar via le sue prime truppe nella primavera dell'anno prossimo, e l'America, sempre più impelagata e in grave difficoltà.
Eppure, il 19 marzo del 2003, poche ore prima dell'attacco su Bagdad, denominato ''shock e terrore'', il vicepresidente americano, Dick Cheney,  disse in televisione: ''Quanto durerà la guerra in Iraq? Parliamo di settimane al massimo, non di mesi''.
Donald Rumsfeld, il suo braccio armato al Pentagono, gli fece eco poco dopo: ''Sei giorni, sei settimane, dubito sei mesi''.
Si sbagliavano di grosso: domani, 29 novembre, la guerra in Iraq avrà raggiunto i 1.350 giorni.

La nuova ''guerra dei sei giorni'' che il truce duo, Cheney-Rumsfeld, avevano promesso all'America, sognando, forse, i rapidi e decisivi trionfi che le armate israeliane avevano saputo conquistare, è diventata più lunga della Seconda Guerra Mondiale, che terminò nella baia di Tokyo con la resa giapponese dopo 1347 giorni dall'aggressione a Pearl Harbor. Più lunga della Guerra in Corea, ormai prossima a raggiungere la Guerra Civile, che consumò 1.460 giorni. E bene avviata sulla strada della guerra del Vietnam, che durò all'incirca 15 anni. 

Soltanto il numero ''ancora limitato dei caduti e dei feriti'' risparmia altri primati a questa lunga guerra, che persino il vecchio Henry Kissinger ha ormai battezzato come ''impossibile da vincere'', e che qualcuno sostiene potrebbe essere foriera di una Terza Guerra Mondiale. Gli ormai quasi 3 mila caduti (una media di due morti al giorno), e i 30 mila feriti (più di venti al giorno), non sono bollettini paragonabili ai massacri della Guerra Civile, con il suoi 650 mila morti né al Vietnam, che ne ammazzò 58 mila. Ma sono troppi per una guerra che sarebbe dovuta durare al massimo sei settimane e che avrebbe dovuto sciogliere tutti i nodi del terrorismo. ''In Iraq ci accoglieranno come liberatori, lanciando fiori, abbracciandoci e baciandoci'', sosteneva il ''sicuro'' Cheney. Passarono pochi mesi e gli iracheni sempre più spesso accolsero gli americani con cartelli che riportavano la scritta ''YANKE, GO HOME!'', e abbassando il pollice al passaggio dei loro convogli.

La guerra in Iraq, iniziata per vendicare i morti dell'11 Settembre 2001, ha ormai fatto tanti morti americani quanti ne fece Al Qaeda quel giorno.

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28 novembre 2006
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