Quel sudario sopra Gibellina vecchia
Il Grande Cretto di Alberto Burri una delle più importanti e grandi opere di Land Art
Tortuosa è la strada che dalla nuova Gibellina porta alla vecchia, quella che nella notte tra il 14 e il 15 gennaio 1968 fu distrutta dal terremoto.
Tortuosa è la strada - brulle, inospitali, a tratti aride, le colline circostanti, bruciate dal sole, spaccate dalla siccità, sormontate da un cielo, sempre bello, guardiano di una terra che nel '68 si dimostrò crudele, spietata, come solo la terra riesce ad essere.
Nel 1980 il sindaco di Gibellina, Ludovico Corrao, incontrando Alberto Burri (fra gli artisti più importanti della scena informale mondiale) abbracciò l'idea di realizzare un'enorme cretto di cemento proprio sopra quei ruderi che erano state le abitazioni dei gibellinesi, così da ricoprire e nello stesso tempo svelare l'onta provocata dal sisma che mai si sarebbe potuta cancellare né dimenticare.
Il maestro della materia iniziò così a progettare quella che sarebbe diventata una delle più importanti e grandi opere di Land Art: diversi ettari di terreno ricoperti da candido cemento che ricorda ad un tempo le crepe del terreno e riprende simbolicamente il sistema viario di quella che una volta era stata una cittadina.
In ogni irregolare quadrangolo si nascondono le macerie di una casa, ogni profondo solco, una via nella quale uomini si muovevano vivendo.
Il grande Cretto di Gibellina è divenuto così il sudario di un corpo abitativo straziato, garza bianca su una ferita che si è seccata, sospesa, in un luogo sospeso nel quale anche le forme irreali delle colline entrano a far parte dell'opera d'arte.
Sono grandi gobbe del colore della juta, bozzi combusti, spazi stravissuti e trasudanti dolore, stanchezza, ineluttabile realtà del mondo, corporea rappresentazione della memoria che addolora, e addolorando è pur dovuta, a salvaguardia della rettitudine morale.
Il Grande Cretto di Gibellina, un omaggio necessario alle 6000 persone che erano un paese e che scomparvero in un soffio.